Scrittori, poeti e musicisti,�in tutte le epoche e in ogni civiltà, si sono ispirati al "pallido" satellite... Un "legame" che non è certo cessato con lo sbarco sulla Luna del primo uomo.
Saverio SIMONELLI
Redazione
I più pessimisti lo avevano affermato addirittura qualche giorno dopo la mirabolante notte del 20 luglio 1969. «Ora che è stata calpestata dal piede umano la luna perderà il suo alone di mistero, la sua capacità di evocare sogni e materializzare incanti, di suscitare malia». Avevano, come spesso accade ai pessimisti, torto marcio. Se oggi siamo tutti qua col naso insù a guardare verso quell’ammasso orbitante di pietre non è certo per valutare la portata delle ricerche compiute dagli scienziati della Nasa da allora ad oggi, né semplicemente per rispolverare lo spirito pionieristico di una corsa allo spazio che di lì a poco si sarebbe interrotta col dramma dello Shuttle. È che 40 anni dopo ci rendiamo conto di come la luna sia rimasta la luna e che quell’impresa sia entrata di diritto nel novero del mito perché ci ha proiettato tutti insieme, dal salotto di casa con la tv che ancora gracchiava incerta, in uno spazio che è soprattutto il luogo che proprio quei sogni a lungo sognati da ogni essere umano hanno reso prezioso e in un certo senso inviolabile perché custodisce da sempre, meglio di un focolare, il patrimonio delle nostre emozioni: quelle che da razionali terrestri ci vergogniamo di affidare al semplice panorama che osserviamo rasoterra dalla finestra di casa. I più pessimisti lo avevano affermato addirittura qualche giorno dopo la mirabolante notte del 20 luglio 1969. «Ora che è stata calpestata dal piede umano la luna perderà il suo alone di mistero, la sua capacità di evocare sogni e materializzare incanti, di suscitare malia». Avevano, come spesso accade ai pessimisti, torto marcio. Se oggi siamo tutti qua col naso insù a guardare verso quell’ammasso orbitante di pietre non è certo per valutare la portata delle ricerche compiute dagli scienziati della Nasa da allora ad oggi, né semplicemente per rispolverare lo spirito pionieristico di una corsa allo spazio che di lì a poco si sarebbe interrotta col dramma dello Shuttle. È che 40 anni dopo ci rendiamo conto di come la luna sia rimasta la luna e che quell’impresa sia entrata di diritto nel novero del mito perché ci ha proiettato tutti insieme, dal salotto di casa con la tv che ancora gracchiava incerta, in uno spazio che è soprattutto il luogo che proprio quei sogni a lungo sognati da ogni essere umano hanno reso prezioso e in un certo senso inviolabile perché custodisce da sempre, meglio di un focolare, il patrimonio delle nostre emozioni: quelle che da razionali terrestri ci vergogniamo di affidare al semplice panorama che osserviamo rasoterra dalla finestra di casa. Fedele compagna Non sarebbe stata la stessa cosa se, poniamo, la gittata dell’inventiva umana ci avesse scagliato direttamente su Marte. Quello era e rimane il pianeta della fantascienza, l’habitat perfetto di qualcosa di alieno, rosso di guerra, torbido e incapace di consolazione. La luna, no. Perché la luna, così, l’abbiamo fatta noi, raccontandocela per millenni da quaggiù come stando lassù. Perennemente in fuga, col volto per metà celato ai nostri sguardi la luna è assieme compagna e creatura sfuggente, silenziosa ingannatrice e bagliore benevolo. Virgilio nell’Eneide fa muovere la flotta greca sotto i suoi “silenzi ostili” ma poi Niso, quando prova a colpire il nemico per salvare l’amico Eurialo, a lei si rivolge in cerca di complice ausilio. Molti chilometri a est e molti anni dopo il grande poeta cinese Li Po leva il calice alla sua compagnia e rassicura la propria ombra dicendo: ecco non siamo soli io e te, c’è anche la luna, così siamo in tre. Tra miti e romanticismi Le lingue germaniche e quelle di matrice celtica pullulano di espressioni che si rifanno alla luna e al suo potere di condizionare gli umori degli umani: “mooonstruck” è l’uomo colpito dal suo incantesimo e destinato a una specie di pazzia, mentre nei giorni di luna nuova si credeva che alcune persone particolarmente inclini entrassero in una specie di sognante letargia seguendo proprio le fasi dell’astro d’argento. Curiosamente lo stesso periodo per gli antichi popoli baltici era invece quello più propizio per celebrare i matrimoni. Le reminiscenze scolastiche ci richiamano a una luna visitata da Astolfo e alle ampolle dove è custodito il senno dei folli. Lo stesso poeta in una satira racconta la vicenda di un popolo primitivo che si arrampica su di un altissimo monte sperando di toccarla e di capirne l’inspiegabile comportamento di apparizioni e sparizioni. Spetterà poi ai romantici di ogni latitudine di immortalarla tra le brume, al tramonto o al momento di sorgere. Così, tra molte altre, torna alla mente Pirandello che racconta il pianto di Ciàula che uscito dalla miniera di zolfo in Sicilia riscopre la luna. Un immaginario inesauribile Questa passeggiata letteraria conferma proprio l’inesauribile produttività linguistica dei simboli e delle suggestioni suscitate dalla luna. E lo stesso accadrebbe facendo ricorso all’immaginario delle canzoni, dai classici napoletani fino al rock o alle ballate di Angelo Branduardi, il cui secondo Lp si intitola proprio “La Luna” e immagina l’astro che discende sulla terra dove finisce però per ferirsi i piedi nudi. Se allora per più di un popolo antico la luna era propizia alle cerimonie, non sorprende che annunciando il Concilio nel famoso discorso culminante nella “carezza del papa” Giovanni XXIII abbia immaginato che anche la luna si fosse soffermata a godersi lo spettacolo di piazza San Pietro illuminata e in preghiera. Come un tempo Giosuè aveva fermato il sole, così un anziano pastore, qualche anno prima dello storico sbarco, cercava al contrario la complicità mite della luna, ricordandoci che quando l’uomo guarda lassù c’è una cosa che più di ogni altra cerca: un segno di tenerezza che dal creato lo rimandi al Padre anche attraverso quel silenzioso bagliore d’argento.