di Saverio CLEMENTI
Redazione
Il Duomo di Milano ha una caratteristica che pochi altri edifici storici al mondo possono vantare: quella di attingere ancora, dopo quasi 700 anni, dalla stessa cava tutto il materiale necessario per la sua manutenzione. Risale infatti al 24 ottobre 1387 il documento che attribuisce alla Veneranda Fabbrica del Duomo il diritto di escavazione di questo marmo da una cava situata sui monti di Candoglia, all’imbocco della Val d’Ossola, di proprietà della nobile famiglia milanese dei Visconti.
Per secoli i grandi barconi carichi di blocchi di marmo hanno raggiunto Milano seguendo un percorso basato sulle vie d’acqua esistenti. Partivano dal tratto terminale del fiume Toce, percorrevano il lago Maggiore, quindi il Ticino, il Ticinello e il Naviglio Grande. Dopo circa una settimana arrivavano alla darsena di Porta Ticinese, detta di Sant’Eustorgio. Successivamente si realizzò la conca di Viarenna che, mettendo in comunicazione la darsena di Sant’Eustorgio con la cerchia interna dei Navigli, consentì con l’escavazione del laghetto di Santo Stefano in Brolo il trasporto dei marmi fin presso il cantiere della cattedrale.
Si trattava di una scelta obbligata, in quanto materiale del genere non era disponibile nelle vicinanze del territorio milanese, dotato solamente di argille e di sabbie. Inoltre, la scelta del gotico come elemento caratterizzante del nuovo edificio rendeva necessaria la presenza di una grande quantità di marmo. «Il cantiere – scrive Ernesto Brivio – non poteva più utilizzare in modo esclusivo i mattoni in cotto, materia prima della tradizione milanese, già usata per avviare il progetto originario voluto dall’arcivescovo Antonio da Saluzzo».
Attualmente la Fabbrica del Duomo può disporre della Cava Madre, un’ampia galleria a metà costa, profonda circa 120 metri, aperta nella seconda metà del XIX secolo, e della Cava Cornovo Est avviata nel 1968, a cielo aperto, a circa 850 metri sul livello del mare. Tutti gli interventi di restauro sono quindi eseguiti utilizzando lo stesso marmo bianco-rosato, che bene si presta alla lavorazione scultorea. È soltanto a partire dal secondo dopoguerra che il trasporto dei marmi viene eseguito su strada. Il Duomo di Milano ha una caratteristica che pochi altri edifici storici al mondo possono vantare: quella di attingere ancora, dopo quasi 700 anni, dalla stessa cava tutto il materiale necessario per la sua manutenzione. Risale infatti al 24 ottobre 1387 il documento che attribuisce alla Veneranda Fabbrica del Duomo il diritto di escavazione di questo marmo da una cava situata sui monti di Candoglia, all’imbocco della Val d’Ossola, di proprietà della nobile famiglia milanese dei Visconti.Per secoli i grandi barconi carichi di blocchi di marmo hanno raggiunto Milano seguendo un percorso basato sulle vie d’acqua esistenti. Partivano dal tratto terminale del fiume Toce, percorrevano il lago Maggiore, quindi il Ticino, il Ticinello e il Naviglio Grande. Dopo circa una settimana arrivavano alla darsena di Porta Ticinese, detta di Sant’Eustorgio. Successivamente si realizzò la conca di Viarenna che, mettendo in comunicazione la darsena di Sant’Eustorgio con la cerchia interna dei Navigli, consentì con l’escavazione del laghetto di Santo Stefano in Brolo il trasporto dei marmi fin presso il cantiere della cattedrale.Si trattava di una scelta obbligata, in quanto materiale del genere non era disponibile nelle vicinanze del territorio milanese, dotato solamente di argille e di sabbie. Inoltre, la scelta del gotico come elemento caratterizzante del nuovo edificio rendeva necessaria la presenza di una grande quantità di marmo. «Il cantiere – scrive Ernesto Brivio – non poteva più utilizzare in modo esclusivo i mattoni in cotto, materia prima della tradizione milanese, già usata per avviare il progetto originario voluto dall’arcivescovo Antonio da Saluzzo».Attualmente la Fabbrica del Duomo può disporre della Cava Madre, un’ampia galleria a metà costa, profonda circa 120 metri, aperta nella seconda metà del XIX secolo, e della Cava Cornovo Est avviata nel 1968, a cielo aperto, a circa 850 metri sul livello del mare. Tutti gli interventi di restauro sono quindi eseguiti utilizzando lo stesso marmo bianco-rosato, che bene si presta alla lavorazione scultorea. È soltanto a partire dal secondo dopoguerra che il trasporto dei marmi viene eseguito su strada.