In un libro di Domenico Flavio Ronzoni la passione di Pio XI per la montagna.
di Mauro COLOMBO
Redazione
Un luogo in cui ci si sente più vicini a Dio. Molti alpinisti, una volta terminata la loro scalata e raggiunta la vetta, manifestano questa sensazione: la montagna come metafora della vita, si potrebbe dire, oggetto di un’ascesa non solo fisica, ma anche spirituale. Per averne conferma, basterebbe ricordare lo sguardo rapito, quasi estatico, di Giovanni Paolo II nella celebre foto che lo ritrae in cammino in mezzo a un ghiacciaio. Eppure, è proprio l’artefice delle vacanze montane del Pontefice polacco in Valle d’Aosta, monsignor Alberto Maria Careggio (oggi vescovo di Ventimiglia-Sanremo), a puntualizzare che «la qualifica di “Papa alpinista” spetta, senza dubbio, più ad Achille Ratti che a Karol Wojtyla». Un luogo in cui ci si sente più vicini a Dio. Molti alpinisti, una volta terminata la loro scalata e raggiunta la vetta, manifestano questa sensazione: la montagna come metafora della vita, si potrebbe dire, oggetto di un’ascesa non solo fisica, ma anche spirituale. Per averne conferma, basterebbe ricordare lo sguardo rapito, quasi estatico, di Giovanni Paolo II nella celebre foto che lo ritrae in cammino in mezzo a un ghiacciaio. Eppure, è proprio l’artefice delle vacanze montane del Pontefice polacco in Valle d’Aosta, monsignor Alberto Maria Careggio (oggi vescovo di Ventimiglia-Sanremo), a puntualizzare che «la qualifica di “Papa alpinista” spetta, senza dubbio, più ad Achille Ratti che a Karol Wojtyla». Una passione nata in famiglia Monsignor Careggio lo fa – ribadendo una definizione già espressa a suo tempo da Carlo Emilio Gadda – nella prefazione al volume Achille Ratti. Il prete alpinista che diventò Papa (Bellavite Editore, pagine 256, euro 25), nel quale Domenico Ronzoni – giornalista, scrittore e storico brianzolo – ricostruisce la grande passione per l’alpinismo di Pio XI, il Pontefice nativo di Desio, di cui quest’anno ricorre il 70° anniversario della morte. Una passione nata in famiglia e tutt’altro che platonica o velleitaria – come potrebbe pensare chi ricorda Achille Ratti soprattutto come uomo di pensiero e di penna -, ma anzi coltivata con scrupolo e praticata con estrema accuratezza. Nell’ambiente degli scalatori, infatti, il suo nome è legato a una vetta posta oltre i 2800 metri sopra la conca di By, in Valle d’Aosta, a un rifugio in Val Venosta e a non poche imprese: una “prima” sulla Punta Dufour del Rosa e, soprattutto, una “prima” sul Bianco, il tetto d’Europa, nota appunto come “Via del Papa” o come “Via Ratti-Grasselli”. Una denominazione, quest’ultima, che unisce il nome del futuro Papa a quello del suo inseparabile compagno di cordata, l’altro sacerdote brianzolo don Luigi Grasselli (originario di Arosio), che con lui affrontò impegnative ascensioni e quelli che oggi si potrebbero chiamare “trekking” lungo i sentieri piemontesi e valdostani. Dalle Grigne alle Dolomiti Con chiodi, corde e piccozze don Achille e don Luigi si diedero parecchio da fare, tra il 1885 e il 1913, passando dalle Grigne e dal Legnone alle vette alpine e dolomitiche. Salite ed escursioni che lo stesso Ratti annotava minuziosamente in un elenco conservato in un cofanetto di stoffa rossa e che descrisse in alcune relazioni stilate per la Rivista del Club Alpino Italiano, pubblicate poi nel 1923 – quindi dopo l’ultima sua “ascesa”, quella al soglio di Pietro – a cura della sezione milanese del Cai, in un volume riprodotto fotograficamente nell’opera di Ronzoni. Una documentazione che l’attuale presidente del Cai Annibale Salsa, presentando il libro, giudica meritevole di «tutta la dovuta attenzione da parte degli ambienti alpinistici». Ma gli aspetti più propriamente tecnici finiscono per fondersi con quelli pastorali. Pio XI nominò San Bernardo patrono di montanari e alpinisti, aggiunse al Rituale una formula specifica per benedire corda e piccozze e, in una lettera apostolica, arrivò a a definire l’alpinismo come l’attività sportiva «più corroborante per la sanità morale e per la salute fisica». Il collegamento ideale con Giovanni Paolo II – al quale è dedicato il lavoro di Ronzoni – è più che fondato. Non solo per l’intenso amore per la montagna condiviso dai due Pontefici. Ma anche per la capacità di entrambi di riuscire a guardare “oltre” le vette, ancora più su.