Lo staff di medici e infermieri raggiunge i villaggi più sperduti per vaccinare i bambini e assistere le donne gravide

di Luisa BOVE

È l’ultimo venerdì del mese e l’appuntamento è sotto il grande albero.  All’alba le donne iniziano ad arrivare con i loro piccoli sulla schiena avvolti nei kitenge colorati, mentre i più grandicelli percorrono a piedi diversi chilometri. Dall’ospedale partono due fuoristrada carichi di materiale sanitario, tavolini e sedie. L’equipaggio è composto da un medico, alcuni infermieri, uno studente e altro personale specializzato: destinazione Chimowa, un villaggio nel cuore della savana a 40 chilometri da Chirundu. È qui che viene installata una «piccola clinica ambulante» a cielo aperto, spiega suor Erminia Ferrario, direttore sanitario del Mtendere Mission Hospital. Ogni mese sono sette i luoghi distanti tra i 40 e gli 80 chilometri in cui si procede per raggiungere qualche decina di donne africane che non andrebbero mai in ospedale per vaccinare i loro piccoli.

«Qui facciamo radunare le mamme e i bambini da zero a cinque anni. I bimbi vengono pesati con una pesa attaccata all’albero, poi valutiamo la crescita, facciamo i vaccini ai più piccoli, fino a un anno di età. Poi un po’ di educazione alimentare per i bambini e spieghiamo come difendersi dalla malaria».

Dopo aver pesato tutti i bimbi, si passa ai vaccini polivalenti (poliomielite, epatite B, pneumococco) e un nuovo vaccino contro la diarrea, molto frequente nei bambini perché bevono l’acqua del fiume senza che sia bollita.  All’occorrenza viene eseguito anche il test della malaria per valutare i casi sospetti.

L’occhio esperto del medico, anche senza strumentazioni diagnostiche, è in grado di capire problemi cardiaci, anemie e altro ancora. «Troviamo bambini malnutriti – spiega suor Erminia -, alcuni Hiv positivi perché nati da madre affetta, altri ancora con una malformazione cardiaca. Si capisce se il bambino sta respirando bene oppure no e attraverso l’ascolto del cuore e dei polmoni si può identificare un inizio di polmonite oppure una malformazione cardiaca che potrebbe rimanere misconosciuta fino all’età di due o tre anni».

In effetti tra i 50 bambini presenti, un bimbo molto piccolo, di soli due mesi, respirava a fatica mentre lo pesavano e auscultandolo il medico ha riscontrato una possibile malformazione cardiaca. «Con l’aiuto dell’ostetrica – dice la dottoressa – abbiamo invitato la mamma a venire in ospedale il 25 novembre quando ci sarà la possibilità di fare un ecocardio al bambino. Se la malformazione viene diagnosticata, si procede con un ricovero in Italia, a San Donato Milanese, e attraverso l’associazione Cuore fratello, il piccolo sarà sottoposto a intervento chirurgico. In questo modo la malformazione cardiaca viene risolta, il bambino torna a casa, può andare a scuola, crescere, sposarsi, diventare nonno e vivere la sua vita…», dice suor Erminia con un grande sorriso.

Terminate le vaccinazioni, si crea piano piano una lunga fila davanti alla dottoressa: a una a una le mamme chiedono di visitare i loro figli. «What is the problem?», chiede in inglese o in cinyanja la religiosa che per l’occasione ha indossato una gonna africana. «Il mio bambino ha la tosse, ha la febbre, ha la diarrea…», sono le risposte più frequenti, ma spesso i piccoli sono sani, è solo un desiderio di attenzione e accudimento della madre, forse più psicologico che reale, d’altra parte è naturale che approfittino della presenza straordinaria di sanitari a pochi chilometri dai loro villaggi. Soltanto qualcuno di loro ha la polmonite, la bronchite, una congiuntivite… Ma nessuno resta senza cure, fosse anche solo per un lavaggio nasale o alle orecchie.  A qualcuno viene provata la febbre e nel caso vengono consegnate alla madre le pastiglie contate e messe in un pacchettino dove sono disegnati il sole e la luna a indicare i quattro momenti della giornata per somministrare le cure, nessuno infatti sa leggere e spesso per le spiegazioni intervengono le infermiere che traducono le parole del medico dall’inglese al cinyanja.

All’appuntamento mensile del venerdì sono invitate anche le donne gravide al primo parto con i rispettivi mariti. Purtroppo su 15 future mamme ci sono solo due uomini presenti. In una piccola costruzione in mattoni di terra rossa è stato portato un grande materasso che sarà utilizzato per le visite ginecologiche. Una volontaria le intrattiene per spiegare loro come affrontare il parto e la necessità di presentarsi in ospedale con il sapone perché devono lavarsi bene prima di partorire. Alcune di loro sono giovanissime e ascoltano un po’ spaventate. Ognuna viene visitata dalla ginecologa che verifica lo stato di salute della donna e il battito del bambino con uno strumento rudimentale appoggiato sul ventre della futura madre. Le giovani africane vengono tutte sottoposte al test dell’Hiv e chi risulta sieropositiva viene invitata in ospedale a registrarsi e a iniziare subito le terapie antiretrovirali per evitare di contagiare anche il feto e far nascere un bimbo affetto dal virus dell’Aids.

Per l’équipe medica è una giornata intensa, sotto il sole cocente e un clima che supera i 40 gradi. Donne e bambini sembrano sopportare i turni, le attese, le visite senza difficoltà, forse per loro è una giornata diversa rispetto alla desolazione della vita nei villaggi in piena savana. Ma tutte le fatiche, anche di una gestione complicata dell’ospedale, ripagano l’intera équipe perché sa che vaccinare i piccoli zambiani darà loro una prospettiva di vita più sana e la speranza di un futuro migliore.

 

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