Redazione

Il nostro libro sinodale inizia con le parole:
«La Chiesa ambrosiana rende grazie a Dio che la convoca come "popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo". Formata a immagine della Chiesa universale, in essa e con essa, crede che in Gesù morto e risorto la sovrabbondante carità di Dio dona all’umanità vita e salvezza» (cost. 1, § 1) .

1. Ripartiamo da Dio.

Come negli Atti dunque, anche nel nostro libro sinodale ripartiamo da Dio, nel quale viviamo, ci muoviamo e siamo, che conosce il cuore di tutti e compie ancora opere meravigliose in favore dei suoi figli; ripartiamo dal Dio dei nostri padri che ha accreditato Gesù e lo ha risuscitato dai morti; dal Dio ignoto, che ha fatto il mondo e tutto ciò che in esso si trova, e che dà a tutti la vita ed è a tutti vicino; dal Dio che ha parlato e continua a parlare anche a noi per mezzo delle sacre Scritture, della storia quotidiana, del suo Spirito; dal Dio che dà la conversione anche ai pagani, che non fa preferenze di persone, ma vuole che tutti, proprio tutti, uomini e donne, siano salvati e vivano felici sempre (cf At 17,28; 1,24; 2,11; 2,22.24; 3,13; 17,23-25; 10,34-36 ecc.). La Chiesa degli apostoli, prima di essere una Chiesa che "fa" qualcosa (predica, battezza, organizza la carità, ecc.) è una Chiesa che loda Dio, ne riconosce il primato assoluto, sta davanti a Lui in silenziosa adorazione: "per Cristo, con Cristo, in Cristo, a Te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito santo, ogni onore e gloria ". Siamo grati per questo ai consacrati e alle consacrate della Diocesi (cf costt. 451-473) per il loro «richiamo profetico al primato del regno e alla dimensione escatologica della vita cristiana» (cost. 452, § 1).

2. La fede della Chiesa primitiva e la nostra.

Contemplando la Chiesa degli apostoli che proclama il primato di Dio in Gesù Cristo, noi ci sentiamo interrogati sulla nostra fede cristiana. Tante pagine del libro sinodale ci serviranno per verificare la qualità e l’incisività della nostra fede. E’ questo pure il tema dell’ultima lettera pastorale dei vescovi lombardi ai loro fratelli e sorelle delle Chiese di Lombardia (8 settembre 1994). La nostra fede non è forse talora più dubbiosa che certa? Più tradizionale che personale? Più verbale che vitale? Dal dubbio, o dal folclore, o dal nominalismo, al vuoto reale di Dio il passo è breve. Dobbiamo ritrovare una autentica fede nel Dio vivo e vero rivelatosi in Gesù di Nazareth crocifisso e risorto; essere certi della sua vicinanza, della sua immanenza, pur riconoscendone la trascendente diversità da noi; dobbiamo ascoltare, ogni giorno, con attenzione e stupore, Gesù Cristo che con il suo Vangelo ci parla di Dio Padre rendendocelo familiare. Il Padre è necessario per la vita di tutti, è presenza significativa nel nostro disorientamento.
Dobbiamo testimoniare, nel nostro modo di pregare, di celebrare, di vivere, quanto sentiamo la sua presenza, quanto ci dia pace la certezza della sua provvidenza. Guai a noi se privilegiamo solo il fare pratico, svuotandolo delle sue profonde motivazioni cristiane e dimenticando il "fare del cuore"; se ci buttiamo nella missione trascurando le esigenze di una vita interiore senza la quale il cristiano resta sprovvisto di quello spirito che deve comunicare agli altri.

3. La vita di fede ha delle esigenze.

La vita interiore, o vita di fede e di amore, dei singoli e delle comunità, ha le sue irrinunciabili esigenze. Negli Atti degli apostoli, queste sono particolarmente evidenziate nei tre quadri sommari (cfr. At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16) che, in uno stile essenziale, descrivono la vita della primitiva comunità cristiana e ci tramandano l’atmosfera umana e religiosa dentro la quale i primi cristiani vivevano e operavano. I primi cristiani a. erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli che annunciavano la Parola di Dio, portavano il lieto annuncio che Gesù è il Cristo, predicavano parole di vita. Gli apostoli ricordavano, riproponevano e testimoniavano la vita e gli insegnamenti di Gesù, conosciuto di persona e compreso pienamente perché ricolmi dello Spirito illuminante mandato su loro dal Padre. Il nostro Sinodo descrive simili atteggiamenti specialmente nel capitolo 1: Il ministero della Parola (cfr. costt. 28-49); b. erano perseveranti nella vita comune: stavano insieme e avevano tutto in comune; le loro proprietà e i loro beni li vendevano e ne facevano parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. La vita di comunione dei primi credenti è così descritta da Luca: «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32). Vivevano in relazione e comunione profonda con Gesù e tra di loro, coscienti di essere corpo di Cristo, famiglia di Dio, popolo di salvati dall’amore del Signore. Il loro amore per Dio e per i fratelli era il generatore e forgiatore dei loro pensieri, sentimenti e azioni. I nostri luoghi e strumenti di comunione sono descritti dal Sinodo in particolare nei capitoli 5 – 10 (cf costt. 132-187), mentre le diverse figure generatrici di comunione sono presentate nei capitoli 20 – 23 (cf costt. 366-520); c. erano perseveranti nella frazione del pane e nella preghiera. Il momento più solenne delle loro riunioni era quello dell’Eucaristia, dell’azione di grazie, della cena del Signore. Recitavano insieme le preghiere, lodavano Dio coralmente, lo invocavano con insistenza. Nell’orazione comunitaria avevano piena consapevolezza di essere, con Cristo, alla presenza del Dio creatore, ispiratore dei profeti e dei santi, salvatore del mondo; creavano preghiere genuine, ispirandosi alle circostanze quotidiane, e riversavano nel cuore del Signore le apprensioni, aspirazioni e propositi del proprio. Si leggano le risonanze di questi atteggiamenti nella nostra Chiesa nei capitoli 2 e 3 del testo sinodale (cfr. costt. 50-112).

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