Aelredo di Rievaulx, monaco del XII secolo Aelredo di Rievaulx (“uno degli umanisti più delicati del suo secolo ”, lo definisce uno studioso di esegesi medievale), è conosciuto attraverso la narrazione della sua vita, stesa dal suo discepolo Walter Daniel, e mediante i suoi scritti. Nacque nel 1109, a Hexham, all’estremo nord dell’Inghilterra; padre, nonno, bisnonno erano preti. Nella cristianità anglosassone del tempo il clero sposato non costituiva eccezione né problema. Ma proprio nell’epoca di Aelredo, con l’avvento alla sede primaziale di Canterbury dell’abate Lanfranco di Pavia, sull’onda della riforma cistercense, si promosse un movimento di incremento della vita monastica in Inghilterra e di riconduzione del clero alla disciplina del celibato. Aelredo venne educato alla corte del re di Scozia, dove visse dieci anni, in amicizia con i figli del re e, apprezzato per la sua pazienza e amabilità, ricevette l’incarico di economo e dispensiere. Venuto a contatto, nel corso di una missione per conto del re di Scozia, con la comunità monastica di Rievaulx, giunta da poco da oltre la Manica, rimase attratto dal fervore di vita monastica che vi trovò e dalla sincera affezione che legava tra loro i monaci. E lì per lì decise di non tornare a corte ma di fermarsi per intraprendere la vita monastica. Ricevette presto incarichi di responsabilità nel monastero e, dopo un breve intervallo di quattro anni in cui fu chiamato ad assumere l’abbaziato nella fondazione di S. Lorenzo di Revesby, fu eletto abate di Rievaulx. Qui visse fino alla morte, conducendo l’abbazia al suo massimo splendore, di presenze e di vita monastica. Cagionevole di salute, pure scrisse un consistente corpus di testi, di vario genere (biografie, sermoni, lettere, trattati spirituali), spesso su commissione. Il messaggio fondamentale che lascia (soprattutto nello Specchio della carità e in L’amicizia spirituale) è un canto all’amicizia, come la gioia più luminosa della vita, segno della presenza di Dio nel mondo. Muore il 12 gennaio 1167. Non fu mai canonizzato ufficialmente, anche se pare che papa Celestino III lo abbia beatificato nel 1191. Ma, a partire dal capitolo generale dei cistercensi del 1476, è attestato il culto ininterrotto della sua memoria.