San Pier Damiani, vescovo e dottore della Chiesa Nato a Ravenna nel 1007, Pier Damiani fu uno dei tanti monaci che contribuirono alla riforma della Chiesa nell’XI secolo, sia nell’ambito dei loro ordini, che a fianco dei loro pontefici. Rimasto presto orfano dei genitori, venne allevato da una sorella, Roselinda, e dal fratello Damiano, che fu arciprete della Chiesa ravennate e poi monaco, in memoria del quale il santo aggiunse al proprio nome quello di Damiano. Grazie al fratello poté frequentare il corso di arti liberali fino a diventarne insegnante. Nel 1035 entrò nell’eremo di Fonte Avellana, nelle Marche, dove era ancor viva la memoria di san Romualdo, e ne divenne presto la guida spirituale. Richiesto in altri monasteri per esercitarvi questo servizio, quando ritornò a Fonte Avellana vi fu eletto priore. Riorganizzò l’eremo, scrivendo vari opuscoli, fra cui la Vita beati Romualdi e una Regola per i suoi monaci. In quel tempo la Chiesa era afflitta da due mali: la simonia, cioè l’acquisto con denaro di cariche e dignità ecclesiastiche, e il nicolaismo, cioè il rifiuto del celibato. Pier Damiani si prodigò con i suoi consigli, evitando tuttavia di assumere atteggiamenti radicali, e scrisse su queste tematiche il Liber gratissimus. Nel 1057 papa Stefano IX lo nominò cardinale e vescovo-conte di Ostia per poterlo avere a suo fianco nell’opera riformatrice. A Roma ebbe modo di frequentare il suddiacono Ildebrando, che diventerà papa col nome di Gregorio VII. Qui rimase sei anni, sotto tre papi, che gli affidarono vari incarichi, fra cui il viaggio a Milano con Anselmo da Baggio per porre fine alle lotte fra clero cittadino, sposato e sottomesso alla nobiltà, e la Pataria, che non riconosceva nessuno dei sacerdoti simoniaci o nicolaiti. Nel 1063, dopo aver difeso contro l’antipapa Onorio II il suo ex compagno di legazione Anselmo da Baggio, divenuto papa Alessandro II, chiese il permesso di ritirarsi di nuovo nell’eremo. Non poté però isolarsi del tutto. Già nello stesso anno era a Cluny per la difesa di quella congregazione; nel 1065 a Francoforte per distogliere Enrico IV dal divorzio; due anni dopo a Montecassino per la consacrazione della nuova abbazia voluta dall’abate Desiderio. Nel 1072 si trasferì a Ravenna per riconciliarla con il pontefice, dopo l’interdetto contro il suo arcivescovo Enrico che aveva parteggiato per l’antipapa. Moriva nel viaggio di ritorno, nella notte fra il 22 e il 23 febbraio, a Faenza, nel monastero dei benedettini di S. Maria foris porta. Alla sua venerazione contribuirono molti scrittori italiani, da Dante, che lo ricorda nel suo Paradiso, al Boccaccio e al Petrarca. Nel 1828 venne proclamato dottore della Chiesa per i suoi numerosi scritti di carattere teologico, ascetico e agiografico, per i quali fu considerato uno dei più significativi scrittori dell’XI secolo.