At 5,27-33; Sal 33(34); Gv 5,19-30 «In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita». (Gv 5,24) Il versetto citato appartiene a un discorso che Gesù rivolge ai giudei che lo osteggiano perché ha guarito un uomo infermo in giorno di sabato, riferendosi a Dio come principio e contenuto del proprio agire. È un discorso di rivelazione del suo mistero, del suo essere Figlio di Dio, della sua relazione con Dio Padre, ma viene solo dopo un’azione molto “materiale”: quella di restituire la salute a un uomo che l’ha perduta. Questo che viene indicato da Isaia come segno del tempo della salvezza definitiva (Is 35,4-6) non viene riconosciuto proprio da quelli che «scrutano le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna» (Gv 5,39) e che, pertanto, rifiutano di passare dalla morte alla vita. L’infermo sanato, invece, pur senza confessare a parole Gesù Figlio di Dio, senza dire la sua fede, è segno vivente della vita di Dio comunicatagli attraverso Gesù. L’uomo che, semplicemente, si rialza e cammina, grida silenziosamente il nome di Dio scritto nella propia carne. Preghiamo Il Signore protegge gli umili: ero misero ed egli mi ha salvato. Camminerò alla presenza del Signore sulla terra dei viventi. (dal Salmo 114) [da: La Parola ogni giorno – LA NOSTRA LETTERA SIETE VOI – Santità ministeriale – Pasqua 2011 – Centro Ambrosiano]