Si intitola “Shlomo. La terra perduta”, una pellicola di 50 minuti realizzata da due giornalisti italiani, dedicata agli Aramei, popolo cristiano antichissimo che parla ancora l’aramaico

Tur Abdin non esiste sulle carte geografiche. Siamo nella Turchia profonda, nel sudest a maggioranza curda: l’alta Mesopotamia al confine con la Siria. Tur Abdin è la patria di una delle minoranze più antiche del Medio Oriente: gli Aramei, un popolo cristiano antichissimo che parla ancora l’aramaico, la lingua dell’epoca di Gesù. Fino ad un secolo fa, a Tur Abdin erano oltre 500mila, oggi ne sono rimasti appena 2500: vittime dei massacri del secolo scorso, molti altri in fuga da una terra segnata dal conflitto e dalla discriminazione.
È dedicato a loro “Shlomo. La terra perduta”, un film-inchiesta di 50 minuti realizzato da due giornalisti italiani, Matteo Spicuglia e Stefano Rogliatti. Gli autori sono stati ospitati da famiglie di Aramei in Turchia e in Germania per raccontare le ferite di ieri e di oggi, una fatica comune a tutte le minoranze della regione. Villaggi abbandonati e monasteri antichissimi, oggi in pericolo, decine di persone di tutte le età: il risultato è un affresco di testimonianze inedite per il pubblico italiano.
Dopo le presentazioni di Torino, Roma, Şanlıurfa (Turchia), Warburg (Germania) e Firenze, il film inchiesta arriva a Milano.
L’appuntamento è per giovedì 21 novembre, alle ore 18,30, al Teatro alle Colonne, Corso di Porta Ticinese, 45.

«Siamo arrivati in Turchia con l’idea di raccogliere semplicemente delle storie; – spiegano gli autori – le abbiamo presentate senza filtri, così come le abbiamo ascoltate». “Shlomo. La terra perduta” abbraccia le mille pieghe della vita degli Aramei: le radici di Tur Abdin, la vita di chi ha trovato riparo in una grande metropoli come Istanbul, le attese di un popolo della diaspora, presente oggi in tutto il mondo, dall’Europa agli Stati Uniti, passando per l’Australia. E ancora: il problema dell’occupazione delle terre da parte della maggioranza curda, la speranza dell’emigrazione al contrario dei rifugiati in Europa che hanno deciso di tornare a casa, le motivazioni dei giovani che hanno scelto di rimanere a Tur Abdin.
«Aver raccontato la fatica degli Aramei, – concludono gli autori – è stato un modo per dare voce al destino di tutte le minoranze del Medio Oriente, dall’Iran all’Egitto, dall’Iraq alla Terra Santa. Il copione è quello di sempre: difficoltà quotidiane, discriminazione spesso sottile, diritti non sempre riconosciuti, dialogo impossibile da vivere. La fuga a volte è considerata l’unica scelta».
 

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