Le esperienze attuate da diverse realtà per superare lo strumento dei campi e le logiche emergenziali

di Claudio URBANO

Lavorano con i Rom da dieci anni, almeno da quando il fenomeno dei campi irregolari ha iniziato a contare numeri sempre più consistenti nelle tante zone dismesse di Milano e dell’hinterland. Ora, mentre si tenta un faticoso superamento dei campi, le diverse realtà ecclesiali da tempo impegnate per l’integrazione possono raccontare i frutti di questo percorso e indicare alcune soluzioni scevre da elementi ideologici.

«La nostra sfida è far vedere nelle storie di uscita dai campi percorsi di vita buona», sottolinea Valerio Pedroni dei Padri Somaschi, che collaborano col Comune di Milano nella gestione dei “Centri d’emergenza sociale”, insediamenti pensati come il primo passo dopo l’uscita dai campi. «Pensiamo che un forte investimento sull’autonomia serva senz’altro di più rispetto a misure emergenziali», è invece la sintesi di Elisa Giunipero, tra i volontari del Servizio Rom della Comunità di Sant’Egidio.

I numeri di Milano raccontano naturalmente di una situazione non facile, a macchia di leopardo. Gli sgomberi dei piccoli insediamenti abusivi continuano, mentre dei 3000 Rom che si stima vivano in città (compreso chi ha una normale residenza) circa 700 sono in campi regolari; altre centinaia sono passati da situazioni-ponte come i centri di emergenza sociale, anche se solo un quinto di loro (secondo l’ultimo rapporto dei volontari del Naga) è arrivato, per ora, a una sistemazione più stabile.

Pedroni vede comunque il bicchiere mezzo pieno: «Con la chiusura dei campi e l’accoglienza in strutture protette viene fatto già un primo passo; il secondo passaggio verso l’autonomia dipende poi anche dalla volontà delle famiglie, e naturalmente dall’avere un lavoro».

Lavoro, casa ed educazione sono i tre punti chiave indicati anche da Giunipero. I volontari di Sant’Egidio sono riusciti a dare casa a 40 famiglie tra Milano e provincia, portando diverse donne dall’elemosina al lavoro. Tutto grazie a una rete di volontari che hanno organizzato corsi per il lavoro domestico. Importantissima, naturalmente, è la scuola, dove i bambini possono maturare un senso di fiducia nelle istituzioni.

Può contare diverse famiglie avviate all’autonomia abitativa anche la Casa della Carità guidata da don Virginio Colmegna, che ha seguito il campo regolare di via Triboniano fino alla sua chiusura (2011) e che ora ospita otto famiglie passate dal centro di emergenza sociale di via Lombroso. Tra loro, otto persone lavoreranno in questi mesi nei padiglioni di Expo.

Di fronte a una realtà che rimane complessa e ricca di chiaroscuri, chi lavora per l’integrazione spiega che le ragioni superano quelle di un semplicistico schierarsi pro o contro: «Ci impegniamo coi Rom come con tutti gli altri casi di povertà, e spesso i poveri, proprio perché non sono lì ad aspettare solo il nostro aiuto, vanno educati prima che assistiti». Conferma questa impostazione anche Gloria Mari, laica consacrata della Comunità Nocetum, immersa nel verde alla periferia sud-est di Milano. Qui Eduard e Leonard, due ragazzi del vicino campo di via San Dionigi (distrutto da un incendio nel 2009), sono stati avviati al Conservatorio e ora suonano nell’Orchestra dei Popoli: «Quando abbiamo visto bruciare il campo non potevamo girarci dall’altra parte…».

 

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