Intervista al nunzio apostolico monsignor Tscherrig: «Non possiamo dirci appartenenti a una religione e poi giustificare una violenza così insensata e incredibile»
di Maria Chiara BIAGIONI
Dopo lo choc, sono giorni di lutto per i Paesi e i popoli di tutta la Scandinavia, sconvolti dalla furia omicida dell’attentatore che venerdì scorso ha colpito Oslo e la Norvegia. Sono anche i giorni del giudizio e delle indagini, per capire se Anders Behring Breivik ha agito da solo oppure con l’aiuto di complici. La polizia norvegese pensa anche di invocare una nuova disposizione del codice penale per “crimini contro l’umanità”, che permetterebbe una pena di 30 anni di reclusione, visto che gli “atti di terrorismo” prevedono una pena massima di 21 anni. Il nunzio apostolico di Stoccolma Emil Paul Tscherrig: «Sono tutti ancora sotto choc e c’è la polizia che continua a indagare perché la cosa non è ancora chiusa».
Nel suo memoriale, Breivik fa riferimento a un fondamentalismo cristiano. Che senso ha?
Sono cose che non hanno alcuna radice nel cristianesimo. Non possiamo dirci appartenenti a una religione e poi giustificare una violenza così insensata e incredibile. È quello che hanno detto i Papi di tutte le generazioni e soprattutto recentemente Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, in riferimento sia all’islam, sia al cristianesimo: il fondamentalismo che si appropria di una matrice religiosa non è mai accettabile. È una cifra che si strumentalizza per giustificare il proprio estremismo o anche il fallimento di una vita personale o di una visione del futuro.
Vengono in mente le parole di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, «mai in nome di Dio»…
Sì, e penso anche che le dichiarazioni dell’attentatore non vengano poi prese molto sul serio nemmeno qui.
Quindi lei non crede al rischio che le idee dell’attentatore facciano breccia nella mente di qualcuno?
Non lo penso perché quello che è successo – uccidere delle persone soltanto per un’idea, o meglio per un’ideologia completamente aberrante – è talmente fuori da ogni logica di pensiero che anche la persona più radicale capisce che questa non può essere la via di soluzione dei problemi.
Come vede il futuro per la Norvegia e la Scandinavia?
Ci sono molte cose che non conosciamo, che non sappiamo. Certamente è stato un grande colpo e ci vorrà molto tempo prima che la gente possa tornare alla vita normale. È stato un vero e proprio terremoto per tutta la società.
Si è parlato di un nuovo “11 settembre”. E così?
Penso che ci siano delle similarità, ma credo che non si possano mai paragonare le tragedie. Perché dietro ci sono sempre degli individui che agiscono e non sappiamo esattamente cosa li ha spinti: dicono solo che hanno agito per salvare la nazione. Ma come si fa a pensare di salvare una nazione ammazzando la gente?
Che ruolo possono avere i leader religiosi che si ritroveranno a ottobre ad Assisi?
Il ruolo che i Papi hanno sempre sottolineato: dire, cioè, che non si può fare la guerra e usare la violenza in nome di Dio. È un messaggio chiaro che è stato continuamente ripetuto da parte della Chiesa e penso che tutte le religioni siano oggi chiamate a essere questo segno di unificazione dell’umanità, di unità del genere umano. Essere quindi il contrario di quello che abbiamo visto in questi giorni. Non dunque la violenza, non la divisione. Cristo stesso, morendo sulla Croce, ha praticamente espresso il suo terrore contro ogni tipo di violenza e questo è il senso profondo del cristianesimo, questo il messaggio che i Papi, in ogni catechismo, in ogni discorso, hanno sempre espresso. Questo deve essere alla base degli uomini e delle donne che credono: chi crede non può farsi strumento di violenza e di disastri.
E quale missione si apre alla Chiesa cattolica in Scandinavia?
La Chiesa cattolica in questi Paesi rappresenta una piccola minoranza e siamo anche noi praticamente parte di quel gruppo di immigrati che indirettamente sono oggetto di quelle accuse. Ma proprio la Chiesa stessa in questi Paesi dimostra che è possibile vivere insieme riconciliati seppur appartenenti a vari tipi nazionalità, lingua, origine e cultura, perché c’è la comunione nella fede in Cristo che supera ogni diversità e ogni muro. Per noi cattolici è sempre stato un aspetto della nostro missione molto importante: vivere come fattore unificatore tra la gente. Lo stesso Giovanni Paolo II, quando nell’89 ha visitato la Svezia, ha detto che qui la Chiesa universale è veramente in fieri, e che i cattolici in questi Paesi sono proprio una espressione della universalità e cattolicità della Chiesa.