La proposta e l'impegno del patronato Acli
a cura di Simona MENGASCINI
I giovani tra i 25 e 34 anni, che lavorano, non hanno delle prospettive pensionistiche proprio rosee: il 42% di loro non arriverà a mille euro di pensione, in pratica prenderà meno del salario di ingresso nel mondo del lavoro. È il risultato più evidente emerso dal progetto Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali di Censis e Unipol.
Altro dato interessante rilevato è che fino a oggi sono le famiglie, in qualche modo, ad aver risposto con le proprie risorse all’assistenza dei disabili e dei non autosufficienti, anche se è ormai frequente il ricorso delle badanti a pagamento ed è in crescita anche la spesa per prestazioni sanitarie private. A fronte di questa situazione ben pochi lavoratori o nuclei familiari italiani (siamo sotto la soglia del 10%) aderiscono o hanno intenzioni di utilizzare strumenti integrativi, sia per quanto riguarda le pensioni, sia per quanto riguarda l’assicurazione sanitaria privata o per la non autosufficienza.
Paolo Ferri è direttore generale dei patronati Acli, che tra i loro servizi hanno gli sportelli contributi e pensioni, diffusi su tutto il territorio.
Direttore Ferri, ritiene che il dato sulle pensioni del 2050, messo in luce dal progetto Welfare, Italia, sia attendibile?
Credo che le prospettive siano realistiche: con il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo la pensione dei lavoratori sarà sicuramente inferiore a quella di oggi. In più occorre dire che a causa della situazione odierna del mercato del lavoro le carriere dei giovani saranno più spezzettate: ci saranno contributi versati da lavoratori autonomi, da dipendenti, o da gestioni separate e questo, nel calcolo del montante per la liquidazione della pensione, inciderà in maniera pesante.
Fino a oggi, per tutti i bisogni sanitari e assistenziali, ha funzionato il “sistema famiglia”: continueremo così?
Le famiglie italiane, costituite da lavoratori che sono andati o stanno andando in pensione, sono riuscite a realizzare una sorta di risparmio che ha permesso loro di far fronte a varie difficoltà. Le nuove generazioni, per la situazione economica e sociale che si sta creando, ma anche per una cultura ispirata a modelli consumistici, non hanno prospettive di risparmio e potrebbero trovarsi, una volta arrivate all’età della pensione, ad avere spese per la propria salute, o per la cura e l’assistenza di un congiunto, che non saranno in grado di affrontare.
Dunque rimangono solo gli strumenti integrativi?
C’è un discorso di previdenza complementare che non è entrato nella cultura italiana e nella mentalità della gente, forse scoraggiato anche dal mercato. Invece è importante sensibilizzare e investire in questi strumenti, che possono garantire il 10-15% in più di pensione, sempre con carriere contributive di molti anni, oltre 30 almeno. Bisogna informare i lavoratori di oggi che domani la loro pensione avrà un tasso di sostituzione, rispetto all’ultimo salario, di circa il 60%, un livello ben diverso dal quasi 80 che attualmente raggiunge chi ha lavorato 40 anni con il sistema retributivo; i giovani sono presi dalla ricerca del lavoro e da un’eventuale stabilizzazione e rimandano le scelte per il loro futuro. Altro concetto da far passare è che il meccanismo della previdenza complementare, che è finanziario, può agevolare il risparmio futuro in virtù di una pensione migliore; certo oltre a questa presa di coscienza ci deve essere un andamento economico ben diverso da quello corrente, altrimenti la gente non si fida. Come patronati Acli crediamo molto in questa scommessa e stiamo investendo tante risorse sia nella formazione interna dei nostri operatori sia nell’informazione dei lavoratori che si rivolgono a noi.
E che atteggiamento riscontrate quando fate la proposta della previdenza integrativa?
I lavoratori più anziani, o quelli che avrebbero i mezzi, fanno più fatica, mentre i più giovani, che sono attenti e vorrebbero farla, non sono proprio nella condizione di risparmiare per potersela permettere.
Dunque che futuro si prospetta?
Vedo il rischio che nel prossimo decennio, con la riforma del sistema pensionistico da retributivo a contributivo e con le gestioni separate del ‘popolo delle partite Iva’, si profilino nuove povertà. Ci saranno persone che hanno lavorato una vita e alla fine non avranno una pensione sufficiente per un livello di vita adeguato, soprattutto nel momento in cui sorgeranno problemi di salute e ci sarà bisogno di cure.