Doveva essere una domenica che poteva segnare l’inizio di una nuova stagione. Invece l’imbecillità di pochi ha rischiato di compromettere l’immagine della città
di Leo GABBI
Quello che è successo allo stadio di Bologna qualche giorno fa, quei fischi beceri alle note di “Caruso”, grande successo del concittadino Lucio Dalla, non deve far pensare a una città incivile e rozza. Questa che fu una delle capitali della cultura (nacque qui una delle prime università del mondo) si è risvegliata attonita e ferita, ha capito che l’imbecillità di pochi ha rischiato di compromettere l’immagine di un popolo fiero e coraggioso, sempre rinato dalle profonde ferite che le erano state inferte prima dalle guerre e poi dal terrorismo (con la terribile esplosione alla stazione del 2 agosto del 1980). Eppure è così: oggi il calcio diventa lo specchietto di tornasole di tutte le miserie del Belpaese, con tifosi che tengono in ostaggio i club per impedire uno scambio di mercato (vedi il caso Vucinic-Guarin), oppure intimano ai loro calciatori di non giocare una partita perché a una frangia ultrà era stato vietato l’ingresso allo stadio (come nel caso della Nocerina).
Ora anche Bologna la dotta, quella che ai tempi di Bernardini faceva tremare il mondo e dopo, con Bulgarelli e soci, fu capace di strappare un memorabile scudetto alla Grande Inter di Herrera, diventa vittima e carnefice di questo degrado che da anni circonda il calcio nostrano. Doveva essere una domenica che sulle note di quel meraviglioso successo del cantautore scomparso da poco, poteva segnare l’inizio di una nuova stagione, nei rapporti tra i tifosi, in questo caso napoletani e bolognesi. L’ottusa quanto mirata reazione a colpi di fischi di una minoranza di aficionados, che già prima del match avevano esposto uno striscione vergognoso, ha rovinato tutto.
E bene ha fatto Gianni Morandi, grande amico di Dalla (un bolognese doc che amava tanto Napoli) e presidente onorario dei rossoblù ad annunciare il suo disgusto e la sua intenzione di dimettersi da quella carica. Morandi, che è da sempre anche emblema della Nazionale Cantanti, ha spiegato che in un calcio come questo non si ritrova più, che per decenni lo stadio Dall’Ara era sempre visto dagli avversari come culla di sportività e civiltà. Tutto cancellato da un manipolo di idioti, che evidentemente hanno capito che l’unico modo per passare alla storia era macchiarsi di quell’infame pagina di razzismo assortito.
Di fronte a questi atteggiamenti appaiono assolutamente inadatte le misure prese dalle autorità del calcio: la squalifica di una curva, peraltro applicata con la condizionale, diventa un pannicello caldo di fronte alle drastiche decisioni prese in altri Paesi, per casi analoghi. Ogni volta che parliamo di queste figuracce, le accostiamo all’illusione che il nostro pallone torni a essere un posto per famiglie, dove i valori dello sport trionfano: purtroppo chi ci accusa di un ottimismo mal riposto, dimostra ancora una volta di avere ragione.