Il Mondiale ha ricompattato una nazione angustiata dalle diseguaglianze. Scongiurato il dominio del Sudamerica, l’Europa alla fine se l’è cavata pareggiando i conti in semifinale
di Leo GABBI
Mondiale da ricordare, non necessariamente per il bel gioco. Ce lo ricorderemo questo Mondiale, magari non solo per il bel calcio giocato (poco) o per i suoi fuoriclasse (tra cui molti decimati dagli infortuni, e qui occorre riflettere che giocando a cento all’ora, oltre a farsi spesso male, si compiono una serie di errori macroscopici), ma per tanti altri piccoli e grandi episodi che ne hanno fatto comunque un evento sportivo che, a modo suo, passerà alla storia (sportiva).
La prima cosa che ci viene in mente sono i brividi che qualsiasi sportivo può aver provato sentendo un intero stadio, ma dovremmo dire un intero popolo, cantare sulle note dell’inno brasiliano. Quella verde oro, Neymar a parte, non sarà di sicuro una nazionale di marziani, ma è riuscita nell’intento di ricompattare una nazione pur angustiata da gravi diseguaglianze sociali. Poi, più che dei grandi attaccanti è stato il Mondiale dei portieri, da quello del Messico Ochoa, a Navas della Costarica, fino a quel Krul, che con movenze da guascone ha sfidato i rigoristi avversari, ipnotizzandoli e trascinando la sua Olanda in semifinale. Prodezze vere tra i pali, meno in mezzo al campo, anche se una rivelazione questa edizione ce l’ha rivelata: si chiama James Rodríguez, gioca nel Monaco e nelle partite in cui ha giocato ha regalato vera poesia, oltre a segnare sei rete. Per il resto qualcosa questo Mondiale ci ha detto anche sul fronte delle regole, con un Blatter in campagna elettorale Fifa, che prima ha sdoganato lo spray per le punizioni, poi un time out ballerino a seconda delle condizioni climatiche e, infine, ha promesso la moviola in campo che fino a un mese fa aveva sempre osteggiato.
Infine due ultime considerazioni. È stato scongiurato il dominio totale del Sudamerica: hanno portato due nazionali semifinaliste, ma vista la strage di europee eccellenti, il Vecchio Continente alla fine se l’è cavata pareggiando i conti. E poi le delusioni: consoliamoci, l’Italia senza campioni, buttata fuori al primo turno non è la più cocente, vince di sicuro la Spagna il titolo di maglia nera. Doveva difendere il titolo vinto in Sudafrica, è stata fatta fuori subito e senza scusanti, salvo quella di aver sacrificato la stagione per la gloria dei suoi club, vincitori in Europa, che poi hanno restituito campioni troppo esausti e appagati.