Una "incursione" sui ponteggi dell'antica e amata chiesa varesina per ammirare i colori "ritrovati" degli stupendi affreschi barocchi. Un vasto intervento, ora esteso anche alla copertura. La nostra galleria di immagini.
Redazione
16/06/2008
Testo e foto di Luca FRIGERIO
Una, due, tre rampe e infine si è su, in cima ai ponteggi, con la testa che sfiora la volta e gli occhi che cercano di orientarsi nella fitta penombra . Poi, quando un faretto s’accende, inaspettatamente ci ritroviamo a sostenere lo sguardo furbo di un paffuto angioletto, che agita un campanello accompagnando l’ascesa celeste di un santo canuto e barbato. Attorno è un esplodere di colori nell’oscurità, come in una notte di festa pirotecnica, fra scorci arditi, tuniche svolazzanti, rosei incarnati: il barocco al suo meglio, giocoso, sornione, affascinante. Siamo nel “cuore” di Varese, ad alcuni metri d’altezza dal suolo, nell’antica chiesa di Sant’Antonio alla Motta, da due anni oggetto di una vasta campagna di restauri.
«Di tutto questo prima si vedeva ben poco, tanto era lo “sporco” che si era depositato sugli affreschi…», ci assicura la responsabile dei lavori, Angela Baila, con un accento di soddisfazione nella voce. Il risultato, del resto, è davvero impressionante. Emozionante, persino. I varesini che da secoli si stringono attorno al “loro” oratorio , e che ben lo conoscono, ne resteranno forse piacevolmente sorpresi. Per gli altri, per tutti coloro che dal prossimo autunno potranno e vorranno ammirare questo tempio ritrovato, sarà una scoperta incantevole.
Due giovani restauratrici stendono delicate velature in un tratto di decorazioni piuttosto ammalorato, mentre altre due, più in basso, procedono pazientemente nella fase di ripulitura. Accanto a una scaletta, tuttavia, asetticamente minaccioso, un cartello avverte: «Attenzione: laser». «Paradossalmente, alcuni danni sulle pitture sono stati fatti con gli interventi degli anni Settanta, quando per colmare alcune lacune sono stati usati anche degli smalti », ci spiega l’architetto Baila. «Strati “posticci” che oggi sono particolarmente difficili da togliere e che richiedono l’impiego di nuove tecnologie, come il laser, appunto».
Il restauro in corso nella chiesa di Sant’Antonio, d’altra parte, è già considerato “esemplare” dagli addetti ai lavori, per metodologia ed esecuzione, tanto da essere stato oggetto, nei giorni scorsi, di un convegno promosso dall’Ufficio per i Beni culturali della diocesi di Milano e dall’ordine provinciale degli architetti.
Da sempre al centro delle vicende varesine, meta di pellegrinaggi, sede di confraternite e luogo di “passaggio” (di uomini e animali!), il santuario antoniano fu più volte ampliato fra il Medioevo e il Settecento. Oggetto di particolari attenzioni soprattutto in età borromaica, san Carlo la visitò due volte, la chiesa venne ricostruita agli inizi del XVII secolo sotto la direzione di Giuseppe Bernascone detto il Mancino, l’eclettico, geniale artefice del Sacro Monte di Varese che anche in questo edificio non rinunciò alle sue personalissime “contaminazioni” architettoniche.
La parte pittorica, invece, fu affidata, cento e vent’anni più tardi, a Giuseppe Baroffio e a Gian Battista Ronchelli. Il primo si ingegnò a “trasfigurare” le pareti con esuberanti decorazioni e accattivanti trompe l’oeil, armonizzando uno spazio, architettonicamente, non certo omogeneo. Il secondo si occupò di stendere sulle volte una cascata di lussureggianti cromie in un’apoteosi di sante e di martiri, dando sfogo ai suoi “furori” bolognesi e al classicismo romano in cui fu educato, ma senza dimenticare quella vena coloristica, e naturalistica, lombarda da cui proviene. Figure che oggi rinascono.
Ma non solo gli affreschi avevano bisogno di essere restaurati. Nel corso dei lavori, infatti, si è scoperto che anche la copertura della chiesa di Sant’Antonio alla Motta andava “rifatta” : una nuova spesa che ha portato a un milione e trecentomila euro l’investimento per il recupero dell’edificio, solo in parte coperto da sponsor, fondazioni e privati. «Non mancheremo di pregare il santo abate perchè guardi con concreta simpatia alle necessità della chiesa a lui dedicata», afferma il prevosto della basilica di San Vittore a Varese, monsignor Gilberto Donnini. «Ma ricordando il famoso proverbio che dice “aiutati che il ciel ti aiuta”, facciamo affidamento di essere sostenuti da molti in questo compito così impegnativo ».