I vescovi si preparano all'Assemblea convocata da Benedetto XVI, che dovrà essere nel segno dell'unità. Parla monsignor Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk
Redazione
«Parlando di pace, il pensiero va, in primo luogo, alle regioni del Medio Oriente. Colgo pertanto l’occasione per dare l’annuncio dell’Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, da me convocata e che si terrà dal 10 al 24 ottobre 2010, sul tema “La Chiesa cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza: La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32)». Così Benedetto XVI, nell’incontro del 19 setembre 2009 con i patriarchi e gli arcivescovi maggiori orientali, annunciò l’Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi.
Il testo dei Lineamenta è ormai prossimo alla stesura finale. Di questo appuntamento parla monsignor Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk (Iraq), che nel gennaio 2009, nel corso della visita ad limina dei vescovi iracheni, chiese a Benedetto XVI di convocare questo Sinodo.
Monsignor Sako, siamo nell’anno del Sinodo. Quali i suoi auspici?
Sarà un tempo forte; importante è la scelta di porre al centro il tema della testimonianza. Le Chiese orientali devono essere consapevoli della propria missione e avere la preoccupazione e la cura del futuro del Vangelo in queste terre. C’è il rischio di perdere di vista l’annuncio evangelico relegando, di fatto, la presenza cristiana alla sfera liturgica. Ogni Chiesa, invece, ha la missione di rendere testimonianza altrimenti non è Chiesa. La Chiesa è sempre mandata ed è la Chiesa che forma i messaggeri del Vangelo. Essa è il luogo in cui i fedeli condividono le loro esperienze spirituali e si sostengono gli uni gli altri nel rendere testimonianza.
Cosa rende difficile alle Chiese orientali dare una piena testimonianza evangelica?
Con la diffusione dell’Islam abbiamo perso dinamismo nell’annunciare il Vangelo. Per questo siamo chiamati a trovare modi nuovi e adatti a riflettere i valori cristiani. È anche una questione di linguaggio, occorre cercare un vocabolario chiaro e comprensibile per comunicare la nostra fede. La Chiesa del Medio Oriente deve poter parlare a tutti, e non solo ai cristiani. Le Chiese non sono a base etnica. La nostra lingua non deve essere lontana dalla gente, dobbiamo rinnovarci nel linguaggio per fornire risposte giuste e chiare. Da qui la necessità di formare i nostri fedeli affinché vivano concretamente il Vangelo. L’esempio, infatti, influisce più delle parole.
Dal tema scelto, tuttavia, appare chiaro che un punto chiave dei lavori sinodali sarà rappresentato dall’urgenza della comunione tra le Chiese mediorientali, come a dire che la testimonianza passa attraverso la comunione…
Comunione significa anche unione tra i cristiani, la divisione è uno scandalo. Gli stessi musulmani ci chiedono perché siamo divisi. A livello teologico e dogmatico sono unite, ma serve anche un’unità ecclesiale, alla quale giova anche una pastorale comune, unificata in lingua araba. Le nostre sono piccole Chiese che per vivere devono collaborare, senza cooperazione non c’è futuro.
Oltre al dialogo tra le Chiese sarà dibattuto anche il tema dei rapporti con ebrei e musulmani. A suo parere quanto è importante il dialogo interreligioso per la vita dei cristiani mediorientali?
Ci sono tanti pregiudizi e tanta ignoranza fra di noi. Ogni azione volta a spiegare chi siamo, rispondente al dialogo e alla conoscenza reciproca sarà positiva ed avrà un alto valore. Senza il dialogo con l’Islam non abbiamo futuro. E lo stesso vale con l’ebraismo. Le Chiese mediorientali possono, anch’esse, favorire una giusta soluzione al problema israelo-palestinese. È importante che i cristiani orientali rimangano in questa regione, essi fanno parte della grande eredità della Chiesa universale, la loro fuga all’estero è una perdita notevole per tutta la Chiesa. «Parlando di pace, il pensiero va, in primo luogo, alle regioni del Medio Oriente. Colgo pertanto l’occasione per dare l’annuncio dell’Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, da me convocata e che si terrà dal 10 al 24 ottobre 2010, sul tema “La Chiesa cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza: La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32)». Così Benedetto XVI, nell’incontro del 19 setembre 2009 con i patriarchi e gli arcivescovi maggiori orientali, annunciò l’Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi.Il testo dei Lineamenta è ormai prossimo alla stesura finale. Di questo appuntamento parla monsignor Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk (Iraq), che nel gennaio 2009, nel corso della visita ad limina dei vescovi iracheni, chiese a Benedetto XVI di convocare questo Sinodo.Monsignor Sako, siamo nell’anno del Sinodo. Quali i suoi auspici?Sarà un tempo forte; importante è la scelta di porre al centro il tema della testimonianza. Le Chiese orientali devono essere consapevoli della propria missione e avere la preoccupazione e la cura del futuro del Vangelo in queste terre. C’è il rischio di perdere di vista l’annuncio evangelico relegando, di fatto, la presenza cristiana alla sfera liturgica. Ogni Chiesa, invece, ha la missione di rendere testimonianza altrimenti non è Chiesa. La Chiesa è sempre mandata ed è la Chiesa che forma i messaggeri del Vangelo. Essa è il luogo in cui i fedeli condividono le loro esperienze spirituali e si sostengono gli uni gli altri nel rendere testimonianza.Cosa rende difficile alle Chiese orientali dare una piena testimonianza evangelica?Con la diffusione dell’Islam abbiamo perso dinamismo nell’annunciare il Vangelo. Per questo siamo chiamati a trovare modi nuovi e adatti a riflettere i valori cristiani. È anche una questione di linguaggio, occorre cercare un vocabolario chiaro e comprensibile per comunicare la nostra fede. La Chiesa del Medio Oriente deve poter parlare a tutti, e non solo ai cristiani. Le Chiese non sono a base etnica. La nostra lingua non deve essere lontana dalla gente, dobbiamo rinnovarci nel linguaggio per fornire risposte giuste e chiare. Da qui la necessità di formare i nostri fedeli affinché vivano concretamente il Vangelo. L’esempio, infatti, influisce più delle parole.Dal tema scelto, tuttavia, appare chiaro che un punto chiave dei lavori sinodali sarà rappresentato dall’urgenza della comunione tra le Chiese mediorientali, come a dire che la testimonianza passa attraverso la comunione…Comunione significa anche unione tra i cristiani, la divisione è uno scandalo. Gli stessi musulmani ci chiedono perché siamo divisi. A livello teologico e dogmatico sono unite, ma serve anche un’unità ecclesiale, alla quale giova anche una pastorale comune, unificata in lingua araba. Le nostre sono piccole Chiese che per vivere devono collaborare, senza cooperazione non c’è futuro.Oltre al dialogo tra le Chiese sarà dibattuto anche il tema dei rapporti con ebrei e musulmani. A suo parere quanto è importante il dialogo interreligioso per la vita dei cristiani mediorientali?Ci sono tanti pregiudizi e tanta ignoranza fra di noi. Ogni azione volta a spiegare chi siamo, rispondente al dialogo e alla conoscenza reciproca sarà positiva ed avrà un alto valore. Senza il dialogo con l’Islam non abbiamo futuro. E lo stesso vale con l’ebraismo. Le Chiese mediorientali possono, anch’esse, favorire una giusta soluzione al problema israelo-palestinese. È importante che i cristiani orientali rimangano in questa regione, essi fanno parte della grande eredità della Chiesa universale, la loro fuga all’estero è una perdita notevole per tutta la Chiesa.