Questa mattina l'incontro tra l'Arcivescovo e sacerdoti, religiosi e laici rientrati in Italia per l'estate. A loro il Cardinale ha espresso la gratitudine della Chiesa ambrosiana e richiamato il valore della loro testimonianza
di Filippo MAGNI
Redazione
Questa mattina cinquanta missionari ambrosiani hanno incontrato in Arcivescovado il cardinale Tettamanzi. Sacerdoti diocesani e religiosi, suore e laici, coppie di sposi e genitori, che stanno trascorrendo l’estate nelle loro città natali per poi tornare, a settembre, nei luoghi di missione: una sorta di “vacanza” (solitamente ne capita uno ogni 3-4 anni) utilizzato per ritrovare amici e parenti. Questa mattina cinquanta missionari ambrosiani hanno incontrato in Arcivescovado il cardinale Tettamanzi. Sacerdoti diocesani e religiosi, suore e laici, coppie di sposi e genitori, che stanno trascorrendo l’estate nelle loro città natali per poi tornare, a settembre, nei luoghi di missione: una sorta di “vacanza” (solitamente ne capita uno ogni 3-4 anni) utilizzato per ritrovare amici e parenti. Le parole dell’Arcivescovo «Il vostro periodo di ferie – ha detto loro l’Arcivescovo – è prezioso per la Chiesa di Milano. Con l’esperienza accumulata dagli anni trascorsi in missione potete comunicarci l’impressione che avete venendo qui e suggerirci cosa potremmo realizzare nelle nostre comunità, magari se avessimo un po’ più di apertura e disponibilità nei confronti dello Spirito».Tettamanzi ha espresso ai missionari la propria gratitudine e si è detto felice dell’incontro «perché, guardando il vostro volto e pensandovi in tante Chiese sparse nel mondo, percepisco che sono parte della Chiesa cattolica, la cui universalità siamo chiamati a professare». Molto interessato alla vita dei missionari («preferirei ascoltarvi, anziché parlare», ha detto), il Cardinale ha chiesto loro di portare una vivace testimonianza nelle parrocchie ambrosiane: alle comunità, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose.L’Arcivescovo ha inoltre battuto sul tasto del coinvolgimento dei laici nella vita delle parrocchie, realtà spesso più presente nelle Chiese del sud del mondo che non a Milano. «Nelle vostre missioni ci sono molti fedeli e pochi preti – ha detto -. Questo ci insegna che può esserci uno stile meno clericalizzato che da noi. Perché è vero che il prete conta tanto, ma non è il tutto: il tutto è la comunità». Il Concilio Vaticano II, ha precisato, «ha detto che è l’ora dei laici. Ma sembra che in tante parrocchie quell’ora non sia ancora scoccata». Da qui la richiesta di Tettamanzi ai missionari in vacanza: «Le vostre ferie sono preziose per noi milanesi: raccontateci come vivete nelle vostre chiese…».L’Arcivescovo ha infine dato ai presenti un’anticipazione dei temi che caratterizzeranno il prossimo anno pastorale, centrato sulla figura di San Carlo Borromeo a 4 secoli dalla sua canonizzazione. «Desidero sottolineare con forza la vocazione quotidiana dei cristiani alla santità – ha spiegato -. In particolare, ponendo l’accento su due caratteristiche di San Carlo: in primo luogo il suo amore per la gente e per la Chiesa (visitò tre volte tutta la Diocesi) e in secondo luogo l’amore per il Crocifisso. Il suo grande messaggio è stare in mezzo alla gente per la gente. La sua prima missione non è stata andare chissà dove, ma accogliere le persone». Le testimonianze L’intervento del cardinale Tettamanzi è stato preceduto da un’introduzione di don Antonio Novazzi, responsabile diocesano dell’Ufficio per la pastorale missionaria. Il sacerdote ha spiegato che «la Chiesa di Milano si muove soprattutto nell’ambito dell’animazione missionaria nei decanati: in ognuno dei 74 decanati c’è un gruppo specifico», oltre che svolgere attività di discernimento per i giovani e di coordinamento degli oltre 50 sacerdoti fidei donum inviati da Milano nel mondo. Don Novazzi ha ricordato che «anche in un periodo storico in cui le vocazioni sono in calo, inviare sacerdoti come missionari è un arricchimento, e non un impoverimento per la Diocesi ambrosiana».L’incontro è stato caratterizzato anche da tre testimonianze. Ha esordito padre Luigi, nativo di Osnago (Lc), raccontando la propria missione in Kenia in ambito formativo. «Negli ultimi tempi – ha spiegato – provo una sensazione sempre più evidente di universalità della missione, dato che mi trovo a lavorare con gente europea, africana, americana, asiatica».A seguire, José e Raffaella Parolini hanno spiegato che in un Paese in guerra come è la loro terra di missione, la Colombia, le relazioni tra le persone vengono distrutte. «Noi – hanno precisato – siamo impegnati non a costruire cose, ma a ricostruire le persone».Ha concluso don Daniele Bai, fidei donum a Garoua, Camerun. «In Africa – ha raccontato – sto imparando a essere prete per tutti, senza distinzioni. Alla mia porta bussano anche persone di altre confessioni e religioni e io mi rendo disponibile per tutti». In Camerun, ha aggiunto, «sento la necessità di dover semplificare non il Vangelo, ma il modo di comunicarlo. Lo sforzo, utile e necessario, è di prepararsi bene e discernere a fondo per essere capaci di cogliere l’essenziale della Parola ed essere capace di dirlo a tutti». –