«Si è dato attraverso un grande amore e una grande passione, con amore filiale, oserei dire nello stile della fanciullezza evangelica».
di don Arturo BELLINI
Redazione
È arrivato il momento del distacco. Atteso, ma temuto, nel pensiero e nel cuore.
Da mesi il Vescovo Roberto era costretto a stare nella sua stanza, da una malattia che, in pochi mesi, gli ha impedito i movimenti fondamentali. Ma da mesi, preti e fedeli andavano a lui, nella Casa dei Preti del Sacro Cuore, in via Garibaldi 10: entravano e uscivano dalla sua camera. E con il vescovo Roberto vivevano alcuni momenti di preghiera, di presenza umana, di sostegno alla fede e di edificazione nella fede.
Il compimento della vita del Vescovo Roberto è avvenuto nel tempo del Natale, nel giorno in cui san Bernardo, nell’ufficio di letture, si domanda: «Chi è quest’uomo perché tu ti curi di lui e a lui si rivolga la tua attenzione?». E poi aggiunge: «Non domandare, uomo, che cosa soffri tu, ma che cosa ha sofferto Lui. Da quello a cui egli giunse per te, riconosci quanti tu valga per Lui».
Soltanto un anno fa, il Vescovo Roberto ci aveva ricordato che la vita, più che a noi, sta a cuore a Lui, al Signore e che, senza Gesù, l’uomo rimane un disegno incompiuto, una ricerca non conclusa, un’attesa senza risposte. Fino a qualche mese fa, il vescovo Roberto era ancora in attività, sia pure limitata. Poi improvvisamente la sosta non quella che ti consente di riprendere ancora il cammino, ma la sosta assoluta.
Il Signore gli ha chiesto di non essere più il grande camminatore di un tempo, sempre avanti a tutti, gli ha chiesto di affrontare un altro viaggio quello per così dire, dai "tetti in su", il viaggio della fede "pura", per esprimere in una condizione del tutto nuova la sua gratitudine a Dio per il dono della vita e della vocazione, per il bene seminato in Diocesi, per i programmi pastorali che hanno scandito il suo ministero, per la visita pastorale che lo ha portato a incontrare ogni parrocchia della diocesi, per il Sinodo diocesano dove ha indicato alle parrocchie i passi possibili e concreti per riformare la vita delle nostre comunità.
Una strada davvero impegnativa e inattesa che il Vescovo Roberto ha compiuto sapendo che alla nostra debolezza è offerta la capacità di amare che ha guidato Gesù da Betlemme alla Croce, e con la quale Egli viene a noi sempre per dirci e donarci ciò che non possono dare né la scienza, né la tecnica, né il benessere: la verità su Dio e sull’uomo, la capacità di collaborare con la fatica costante di Dio Padre per migliorare il nostro cuore e così dare il nostro contributo per rendere più umana la società e più buone le relazioni familiari e sociali.
La diocesi di Bergamo gli deve molto. Il Vescovo Roberto ha messo la sua intelligenza a servizio del Regno.
Chi gli è stato vicino sa che non amava i fronzoli. Il suo appuntamento preferito era il solco del servizio concreto, che si fa attenzione speciale e capillare a questa terra, per aiutare ciascuno a trovare in Gesù Cristo ragioni di vita, di speranza, di gioia, oltre ogni inevitabile difficoltà e sofferenza. Chi gli è stato vicino sa che ha amato questa nostra terra nella sua concretezza per rendere la Chiesa sempre più pura, più vera ed evangelica, gorno dopo giorno, secondo i passi possibili oggi.
Ho personalmente sperimentato quanto ha dato al Seminario e alla Diocesi in vicinanza, presenza, sostegno e condivisione, senza risparmio di tempo e di energie. Si è dato attraverso un grande amore e una grande passione, con amore filiale, oserei dire nello stile della fanciullezza evangelica.
Ha interpretato e fatto proprio, nei modi congeniali alla sua umanità, quanto espresso da papa Giovanni all’apertura del Concilio: «Al giorno d’oggi la sposa di Cristo preferisce fa uso della medicina della misericordia piuttosto che della severità: essa ritiene di venire incontro ai bisogni di oggi mostrando la validità della sua dottrina, piuttosto che rinnovando condanne. vuole mostrarsi madre amorevole di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia e di bontà».
Mons. Amadei scelse come motto del suo episcopato: “Plus amari quam timeri”. perché ogni credente in questo nostro mondo, deve essere una scintilla di luce, un centro di amore, un fermento unificatore della massa: tanto più lo sarà quanto più, nell’intimità di se stesso, vive in comunione con Dio. Il Vescovo Roberto lo è stato, nell’esercizio del ministero episcopale e sulla cattedra della malattia che lo ha accompagnato in questo ultimo anno di vita. È arrivato il momento del distacco. Atteso, ma temuto, nel pensiero e nel cuore.Da mesi il Vescovo Roberto era costretto a stare nella sua stanza, da una malattia che, in pochi mesi, gli ha impedito i movimenti fondamentali. Ma da mesi, preti e fedeli andavano a lui, nella Casa dei Preti del Sacro Cuore, in via Garibaldi 10: entravano e uscivano dalla sua camera. E con il vescovo Roberto vivevano alcuni momenti di preghiera, di presenza umana, di sostegno alla fede e di edificazione nella fede.Il compimento della vita del Vescovo Roberto è avvenuto nel tempo del Natale, nel giorno in cui san Bernardo, nell’ufficio di letture, si domanda: «Chi è quest’uomo perché tu ti curi di lui e a lui si rivolga la tua attenzione?». E poi aggiunge: «Non domandare, uomo, che cosa soffri tu, ma che cosa ha sofferto Lui. Da quello a cui egli giunse per te, riconosci quanti tu valga per Lui».Soltanto un anno fa, il Vescovo Roberto ci aveva ricordato che la vita, più che a noi, sta a cuore a Lui, al Signore e che, senza Gesù, l’uomo rimane un disegno incompiuto, una ricerca non conclusa, un’attesa senza risposte. Fino a qualche mese fa, il vescovo Roberto era ancora in attività, sia pure limitata. Poi improvvisamente la sosta non quella che ti consente di riprendere ancora il cammino, ma la sosta assoluta.Il Signore gli ha chiesto di non essere più il grande camminatore di un tempo, sempre avanti a tutti, gli ha chiesto di affrontare un altro viaggio quello per così dire, dai "tetti in su", il viaggio della fede "pura", per esprimere in una condizione del tutto nuova la sua gratitudine a Dio per il dono della vita e della vocazione, per il bene seminato in Diocesi, per i programmi pastorali che hanno scandito il suo ministero, per la visita pastorale che lo ha portato a incontrare ogni parrocchia della diocesi, per il Sinodo diocesano dove ha indicato alle parrocchie i passi possibili e concreti per riformare la vita delle nostre comunità.Una strada davvero impegnativa e inattesa che il Vescovo Roberto ha compiuto sapendo che alla nostra debolezza è offerta la capacità di amare che ha guidato Gesù da Betlemme alla Croce, e con la quale Egli viene a noi sempre per dirci e donarci ciò che non possono dare né la scienza, né la tecnica, né il benessere: la verità su Dio e sull’uomo, la capacità di collaborare con la fatica costante di Dio Padre per migliorare il nostro cuore e così dare il nostro contributo per rendere più umana la società e più buone le relazioni familiari e sociali.La diocesi di Bergamo gli deve molto. Il Vescovo Roberto ha messo la sua intelligenza a servizio del Regno.Chi gli è stato vicino sa che non amava i fronzoli. Il suo appuntamento preferito era il solco del servizio concreto, che si fa attenzione speciale e capillare a questa terra, per aiutare ciascuno a trovare in Gesù Cristo ragioni di vita, di speranza, di gioia, oltre ogni inevitabile difficoltà e sofferenza. Chi gli è stato vicino sa che ha amato questa nostra terra nella sua concretezza per rendere la Chiesa sempre più pura, più vera ed evangelica, gorno dopo giorno, secondo i passi possibili oggi.Ho personalmente sperimentato quanto ha dato al Seminario e alla Diocesi in vicinanza, presenza, sostegno e condivisione, senza risparmio di tempo e di energie. Si è dato attraverso un grande amore e una grande passione, con amore filiale, oserei dire nello stile della fanciullezza evangelica.Ha interpretato e fatto proprio, nei modi congeniali alla sua umanità, quanto espresso da papa Giovanni all’apertura del Concilio: «Al giorno d’oggi la sposa di Cristo preferisce fa uso della medicina della misericordia piuttosto che della severità: essa ritiene di venire incontro ai bisogni di oggi mostrando la validità della sua dottrina, piuttosto che rinnovando condanne. vuole mostrarsi madre amorevole di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia e di bontà».Mons. Amadei scelse come motto del suo episcopato: “Plus amari quam timeri”. perché ogni credente in questo nostro mondo, deve essere una scintilla di luce, un centro di amore, un fermento unificatore della massa: tanto più lo sarà quanto più, nell’intimità di se stesso, vive in comunione con Dio. Il Vescovo Roberto lo è stato, nell’esercizio del ministero episcopale e sulla cattedra della malattia che lo ha accompagnato in questo ultimo anno di vita.