di Innocente PESSINA Preside Liceo Berchet di Milano
Redazione

Natale il centro è il presepe: la sua origine è medievale, legata a san Francesco e nasce con un intento pedagogico. Fare la ricostruzione di un evento tanto importante è un segno tangibile, concreto, alla portata di tutti, anche dei più umili. Noi abbiamo bisogno di segni e di immagini che ci aiutino a ricordare. Quindi il presepe ha senso come messaggio, non è una semplice decorazione della propria casa, dell’atrio o di un corridoio della scuola. E poi il presepe realizzato è molto più significativo di quello semplicemente visto. Il fatto che qualcuno si metta fisicamente a costruirlo dà più importanza, perché è costretto a rifarsi alla vicenda. È perciò ancora più educativo il fatto che lo realizzi qualche studente.
Quest’anno però al Berchet lo farò io, perché mi piace condividere con i miei studenti un fatto per me importante. Si tratta di una sorta di testimonianza: invece di farla a parole, attraverso una circolare o le quattro righe di auguri che tradizionalmente invio, la propongo costruendo un piccolo presepe. C’è un’altra caratteristica che mi piace del presepe: è contestualizzato. Visitando l’anno scorso una mostra di presepi di tutto il mondo, ho visto quello ambientato nel deserto, in alta montagna, in una cittadina, in un angolo di un piccolo paese. Il presepe non è di solito una perfetta ricostruzione storica/geografica, altrimenti dovremmo avere solo case palestinesi e non certo erba rigogliosa, abeti montani o paesaggi delle nostre latitudini. Eppure il presepe viene ricostruito in tutto il mondo in un contesto geografico che è quello del luogo dove si fa. Si vuole così rendere attuale qui e ora quel fatto successo 2 mila anni fa, un modo per dire che è importante ancora adesso nella mia via o nel mio paese anche se non c’entra nulla con la Palestina di allora.
Tuttavia ogni anno si ripropone la solita discussione sul crocifisso e su tutti i segni religiosi. Mi pare che sia una preoccupazione eccessiva, un po’ radical chic. Qui nell’atrio della scuola un presepe – come qualsiasi altro manifesto, segnale, oggetto – davvero non è offensivo per nessuno. Credo dunque che sia un atteggiamento sbagliato non farlo per rispettare la sensibilità altrui. Altrimenti per rispettare la sensibilità di un beduino, dovremmo abbattere tutte le case per proporgli solo tende. Il presepe non è prevaricazione e violenza. È solo la nostra cultura e la nostra tradizione. Chi viene a vivere qui e arriva da un’altra realtà deve confrontarsi con la nostra identità, con le nostre tradizioni e con la nostra cultura. Nessuno gli impone di condividerla, si chiede solo di rispettarla. Confrontarsi con il diverso, ancora una volta è un problema di rispetto e di pacifica convivenza.
Non si tratta solo di tolleranza. La tolleranza è un atteggiamento sbagliato, perché ha pur sempre una connotazione negativa. Uno tollera partendo da un presupposto di superiorità e “concede” che esista un qualcosa di diverso da lui e dai suoi convincimenti. Credo invece che ci debba essere ben altro: ci deve essere rispetto per l’altro e per le sue convinzioni. Forti della certezza che la diversità è un arricchimento e non un limite minaccioso. Allora è sbagliato fare un passo indietro e non proporre il presepe come manifestazione, segno distintivo del nostro credo e dei nostri più profondi sentimenti. Dobbiamo dire serenamente ai nostri fratelli migranti che nella terra dove sono venuti ad abitare e dove speriamo riusciranno ad integrarsi sempre più troveranno una realtà, delle abitudini e delle tradizioni diverse che potranno anche non condividere, ma che dovranno comunque rispettare. Fra queste anche un piccolo, umile presepe nell’atrio di una scuola che ricorderà a tutti la bellezza e il profondo significato del Natale. Allora allestire un presepe – oltre a quel valore pedagogico che dicevo prima – è anche una ricchezza per tutti, anche per chi non è cristiano. Natale il centro è il presepe: la sua origine è medievale, legata a san Francesco e nasce con un intento pedagogico. Fare la ricostruzione di un evento tanto importante è un segno tangibile, concreto, alla portata di tutti, anche dei più umili. Noi abbiamo bisogno di segni e di immagini che ci aiutino a ricordare. Quindi il presepe ha senso come messaggio, non è una semplice decorazione della propria casa, dell’atrio o di un corridoio della scuola. E poi il presepe realizzato è molto più significativo di quello semplicemente visto. Il fatto che qualcuno si metta fisicamente a costruirlo dà più importanza, perché è costretto a rifarsi alla vicenda. È perciò ancora più educativo il fatto che lo realizzi qualche studente.Quest’anno però al Berchet lo farò io, perché mi piace condividere con i miei studenti un fatto per me importante. Si tratta di una sorta di testimonianza: invece di farla a parole, attraverso una circolare o le quattro righe di auguri che tradizionalmente invio, la propongo costruendo un piccolo presepe. C’è un’altra caratteristica che mi piace del presepe: è contestualizzato. Visitando l’anno scorso una mostra di presepi di tutto il mondo, ho visto quello ambientato nel deserto, in alta montagna, in una cittadina, in un angolo di un piccolo paese. Il presepe non è di solito una perfetta ricostruzione storica/geografica, altrimenti dovremmo avere solo case palestinesi e non certo erba rigogliosa, abeti montani o paesaggi delle nostre latitudini. Eppure il presepe viene ricostruito in tutto il mondo in un contesto geografico che è quello del luogo dove si fa. Si vuole così rendere attuale qui e ora quel fatto successo 2 mila anni fa, un modo per dire che è importante ancora adesso nella mia via o nel mio paese anche se non c’entra nulla con la Palestina di allora.Tuttavia ogni anno si ripropone la solita discussione sul crocifisso e su tutti i segni religiosi. Mi pare che sia una preoccupazione eccessiva, un po’ radical chic. Qui nell’atrio della scuola un presepe – come qualsiasi altro manifesto, segnale, oggetto – davvero non è offensivo per nessuno. Credo dunque che sia un atteggiamento sbagliato non farlo per rispettare la sensibilità altrui. Altrimenti per rispettare la sensibilità di un beduino, dovremmo abbattere tutte le case per proporgli solo tende. Il presepe non è prevaricazione e violenza. È solo la nostra cultura e la nostra tradizione. Chi viene a vivere qui e arriva da un’altra realtà deve confrontarsi con la nostra identità, con le nostre tradizioni e con la nostra cultura. Nessuno gli impone di condividerla, si chiede solo di rispettarla. Confrontarsi con il diverso, ancora una volta è un problema di rispetto e di pacifica convivenza.Non si tratta solo di tolleranza. La tolleranza è un atteggiamento sbagliato, perché ha pur sempre una connotazione negativa. Uno tollera partendo da un presupposto di superiorità e “concede” che esista un qualcosa di diverso da lui e dai suoi convincimenti. Credo invece che ci debba essere ben altro: ci deve essere rispetto per l’altro e per le sue convinzioni. Forti della certezza che la diversità è un arricchimento e non un limite minaccioso. Allora è sbagliato fare un passo indietro e non proporre il presepe come manifestazione, segno distintivo del nostro credo e dei nostri più profondi sentimenti. Dobbiamo dire serenamente ai nostri fratelli migranti che nella terra dove sono venuti ad abitare e dove speriamo riusciranno ad integrarsi sempre più troveranno una realtà, delle abitudini e delle tradizioni diverse che potranno anche non condividere, ma che dovranno comunque rispettare. Fra queste anche un piccolo, umile presepe nell’atrio di una scuola che ricorderà a tutti la bellezza e il profondo significato del Natale. Allora allestire un presepe – oltre a quel valore pedagogico che dicevo prima – è anche una ricchezza per tutti, anche per chi non è cristiano.

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