di Gianni BOTTALICO Presidente Acli di Milano, Monza e Brianza
Redazione
Si avvicina il Santo Natale e molte famiglie quest’anno, anche nella statisticamente ricca Milano, porteranno davanti al presepe le loro angosce, le loro solitudini, le loro povertà. Un senso di immiserimento sembra pervadere tanto i progetti di vita personali quanto il tessuto economico e sociale della città.
In questo clima, di eccezionale difficoltà per la città e per il Paese, la riflessione del cardinal Tettamanzi nel recente Discorso alla Città, assume il significato di una sfida, a cui tutti coloro che vivono in questa città sono chiamati a partecipare. Una sfida che chiama Milano a reagire alla crisi economica, «una vera tempesta – ha osservato l’Arcivescovo – che ha distrutto molto di ciò che faticosamente era stato costruito e che, soprattutto, tende ad allargare il fossato tra chi ha più possibilità e chi già ne aveva meno».
Davanti a questa “tempesta” il Cardinale ha ribadito che bisogna reagire “insieme”, nessuno escluso, così come aveva fatto due anni fa nell’omelia natalizia, quando annunciò l’avvio del Fondo famiglia-lavoro, alla cui gestione chiamò la Caritas e le Acli. Quest’anno, nel quarto centenario della canonizzazione di san Carlo, l’Arcivescovo ha voluto ricordarci che il «volto buono» della città, che ha radici profonde, costituisce anche la maggior risorsa su cui la città possa contare per reagire agli effetti della crisi. C’è un «terreno buono» nel quale anche oggi è possibile seminare progetti di rinnovamento spirituale, culturale, economico e sociale. In particolare, è assai significativo il fatto che l’Arcivescovo ricordi a tutti, in relazione alle responsabilità di ciascuno, che Milano (e la sua area metropolitana) deve e può tornare a essere la città del lavoro perché proprio «il lavoro può far ripartire e rivivere Milano».
Perché ciò possa avvenire occorre ricostruire una cultura del lavoro come impegno e sacrificio di una vita, come dignità di tutti i lavori, intellettuali o manuali che siano, come fonte di sostentamento individuale e familiare (cosa che purtroppo è ritornata ad essere tutt’altro che scontata!) e come fonte di diritti legati alla sicurezza sociale e nei luoghi di lavoro, che rischiano di essere pericolosamente sacrificati in nome di una concorrenza non sempre e non dappertutto guidata da criteri di giustizia e di umanità.
In questo senso le Acli, come credo tutte le altre organizzazioni sociali e professionali, le istituzioni, guardano con molto interesse alla proposta formulata nel Discorso alla Città di una «Mappa dei cantieri sociali», che richiede a tutti di ripensarsi in funzione «del futuro della nostra città e del suo benessere complessivo». Questi «cantieri sociali» potrebbero forse divenire il luogo in cui si cerca di coordinare le politiche e i singoli progetti ricercando una visione più ampia e complessiva, valutandone insieme gli effetti che producono. Infatti, le emergenze generate dalla crisi devono spingerci a tutti i livelli a ricercare le sinergie possibili, a evitare le duplicazioni delle funzioni, senza naturalmente mortificare il pluralismo e le diversità, a evitare che siano le sigle o le singole persone a occupare la scena del dibattito politico anziché le proposte di governo, in particolare quelle che tendono a dare voce a chi non ha voce. Sapendo che le risorse sono sempre più scarse a causa dell’austerità imposta dalla crisi, per le politiche pubbliche in genere e per le politiche sociali in particolare, e invece continuano ad essere molto generose per intervenire a evitare che chi questa crisi l’ha provocata abbia mai a rimetterci qualcosa. Si avvicina il Santo Natale e molte famiglie quest’anno, anche nella statisticamente ricca Milano, porteranno davanti al presepe le loro angosce, le loro solitudini, le loro povertà. Un senso di immiserimento sembra pervadere tanto i progetti di vita personali quanto il tessuto economico e sociale della città.In questo clima, di eccezionale difficoltà per la città e per il Paese, la riflessione del cardinal Tettamanzi nel recente Discorso alla Città, assume il significato di una sfida, a cui tutti coloro che vivono in questa città sono chiamati a partecipare. Una sfida che chiama Milano a reagire alla crisi economica, «una vera tempesta – ha osservato l’Arcivescovo – che ha distrutto molto di ciò che faticosamente era stato costruito e che, soprattutto, tende ad allargare il fossato tra chi ha più possibilità e chi già ne aveva meno».Davanti a questa “tempesta” il Cardinale ha ribadito che bisogna reagire “insieme”, nessuno escluso, così come aveva fatto due anni fa nell’omelia natalizia, quando annunciò l’avvio del Fondo famiglia-lavoro, alla cui gestione chiamò la Caritas e le Acli. Quest’anno, nel quarto centenario della canonizzazione di san Carlo, l’Arcivescovo ha voluto ricordarci che il «volto buono» della città, che ha radici profonde, costituisce anche la maggior risorsa su cui la città possa contare per reagire agli effetti della crisi. C’è un «terreno buono» nel quale anche oggi è possibile seminare progetti di rinnovamento spirituale, culturale, economico e sociale. In particolare, è assai significativo il fatto che l’Arcivescovo ricordi a tutti, in relazione alle responsabilità di ciascuno, che Milano (e la sua area metropolitana) deve e può tornare a essere la città del lavoro perché proprio «il lavoro può far ripartire e rivivere Milano».Perché ciò possa avvenire occorre ricostruire una cultura del lavoro come impegno e sacrificio di una vita, come dignità di tutti i lavori, intellettuali o manuali che siano, come fonte di sostentamento individuale e familiare (cosa che purtroppo è ritornata ad essere tutt’altro che scontata!) e come fonte di diritti legati alla sicurezza sociale e nei luoghi di lavoro, che rischiano di essere pericolosamente sacrificati in nome di una concorrenza non sempre e non dappertutto guidata da criteri di giustizia e di umanità.In questo senso le Acli, come credo tutte le altre organizzazioni sociali e professionali, le istituzioni, guardano con molto interesse alla proposta formulata nel Discorso alla Città di una «Mappa dei cantieri sociali», che richiede a tutti di ripensarsi in funzione «del futuro della nostra città e del suo benessere complessivo». Questi «cantieri sociali» potrebbero forse divenire il luogo in cui si cerca di coordinare le politiche e i singoli progetti ricercando una visione più ampia e complessiva, valutandone insieme gli effetti che producono. Infatti, le emergenze generate dalla crisi devono spingerci a tutti i livelli a ricercare le sinergie possibili, a evitare le duplicazioni delle funzioni, senza naturalmente mortificare il pluralismo e le diversità, a evitare che siano le sigle o le singole persone a occupare la scena del dibattito politico anziché le proposte di governo, in particolare quelle che tendono a dare voce a chi non ha voce. Sapendo che le risorse sono sempre più scarse a causa dell’austerità imposta dalla crisi, per le politiche pubbliche in genere e per le politiche sociali in particolare, e invece continuano ad essere molto generose per intervenire a evitare che chi questa crisi l’ha provocata abbia mai a rimetterci qualcosa.