L'Arcivescovo incontrerà i fedeli dei due Decanati milanesi nella chiesa dei Santi Martiri Nereo e Achilleo. Abbiamo intervistato i due Decani, don Carlo Maria Angelo Umberto Doneda e don Luigi Badi

di Cristina CONTI

Luigi Badi

Venerdì 17 febbraio la Visita pastorale feriale del cardinale Angelo Scola riguarderà i Decanati milanesi di Città Studi e Lambrate. Alle 21 incontrerà i fedeli nella chiesa dei Santi martiri Nereo e Achilleo (viale Argonne 56). Abbiamo intervistato i due Decani.

Città Studi: accompagnare meglio chi ha fede

«Siamo sette parrocchie, due delle quali sono unite insieme in un’Unità pastorale»: don Carlo Maria Angelo Umberto Doneda, parroco di San Luca Evangelista, presenta così il Decanato Città Studi.

Come valuta la partecipazione alle attività parrocchiali?
La Chiesa è molto frequentata e anche la partecipazione è buona. Certo, nel contesto cittadino “mordi e fuggi”. Alle funzioni spesso sono presenti anche gli studenti. In particolar modo la Messa delle 19 nella nostra parrocchia vede la partecipazione di molti universitari che passano il fine settimana a casa e poi tornano qui per lezioni ed esami. I ragazzi, anche se non sono di qui, si sentono parte della vita parrocchiale, perché la nostra chiesa è un punto di riferimento costante per molti anni di studio a Milano. La chiesa di San Pio X, affacciata sul Politecnico, è quella più frequentata dagli studenti. Anche i movimenti hanno un buon seguito nelle nostre realtà parrocchiali. E poi i ragazzi sempre più spesso non si fermano qui solo per gli studi, ma anche dopo la laurea continuano a vivere insieme finché non sono in grado di pagare l’affitto da soli con il proprio lavoro. Quando un anziano muore è facile che l’appartamento sia affittato a studenti. Il nostro obiettivo non è quello di tirare dentro chi non può, bensì quello di accompagnare meglio chi ha fede.

L’immigrazione è molto presente?
C’è una presenza, ma nessun grande insediamento, come invece avviene in zone vicine alla nostra, come via Padova. Abbiamo comunità di filippini, una cappellania della Chiesa ucraina, ma non ci sono grosse emergenze, né in termini di povertà, né in termini di integrazione. Anche in oratorio non ci sono problemi particolari: certo, si fatica, ma si cerca comunque di andare incontro all’altro.

La crisi economica, invece, si è sentita molto?
Sì, si è sentita. Nella mia parrocchia, per esempio, ci sono soprattutto professionisti e universitari, una classe media che comunque ha risentito della difficile congiuntura: in molti hanno perso il lavoro e sono passati dalla serenità a una condizione preoccupante. Ma non c’è stata emarginazione, piuttosto difficoltà familiari.

Come vi siete preparati alla visita?
Innanzitutto con un incontro con monsignor Carlo Faccendini, vicario per la città di Milano, in cui ci siamo confrontati sul progetto pastorale. È stata una serata organizzata in un salone della parrocchia, molto bella e partecipata. Ci sono stati poi incontri nelle diverse parrocchie per elaborare le domande da presentare durante la visita. Mentre i Consigli pastorali parrocchiali hanno riflettuto su quali fossero le prospettive del nostro territorio, alla luce delle priorità indicate dall’Arcivescovo.

Quali le attese?
Il nostro Decanato non è grandissimo. La visita del Cardinale è un’occasione per interrogarci su come lavorare insieme e inquadrare nel nostro contesto le sfide proposte dall’Arcivescovo. Qui da noi ci sono molti studenti, abbiamo di fronte una sfida culturale, dobbiamo essere una Chiesa che esce e che va incontro a una realtà plurale. Vorremmo dare qualcosa di più da questo punto di vista anche a livello decanale. C’è poi il discorso sulla famiglia come soggetto di evangelizzazione, una prospettiva recepita da tutte le parrocchie. Sul nostro territorio ci sono inoltre diversi ospedali in cui vengono a curarsi persone provenienti da tutta Italia e alcune realtà associative che si prendono cura dei familiari che accompagnano a Milano i loro cari sofferenti. In questo aspetto si coniugano l’attenzione alla famiglia e la necessità di essere Chiesa in uscita. Le nostre parrocchie devono coltivare non solo chi viene abitualmente in chiesa, ma anche chi frequenta queste realtà”.

Lambrate: Chiesa di popolo aperta all’accoglienza

«Nel Decanato Lambrate ci sono sei parrocchie, di cui due unite in Comunità pastorale da undici anni, e una ospedaliera – dice invece don Luigi Badi, responsabile della Comunità pastorale San Martino e Santissimo Nome di Maria -. A eccezione di San Martino, che risale ai tempi di San Carlo, e che è unita in Comunità pastorale col Santissimo Nome di Maria, le altre sono state fondate nei primi anni Sessanta del secolo scorso, con una storia relativamente breve, ma significativa, che mostra l’opera di evangelizzazione, promozione umana e aggregazione che hanno saputo compiere».

Quali i prossimi passi da compiere?
Il principale è la testimonianza della fede nella vita ordinaria e, in particolare, la sua trasmissione alle giovani generazioni. Le nostre sono parrocchie dove la “tradizione” conta assai relativamente. Perciò si rende necessaria un’azione evangelizzatrice finalizzata ad accompagnarla e sostenerla là dove vi siano nelle persone segni di disponibilità a intraprenderne il cammino. Siamo una Chiesa di popolo, alla quale si rivolge ancora la maggioranza della popolazione (almeno sul versante dell’Iniziazione cristiana), ma avvertiamo il bisogno di una maggiore essenzialità del lavoro pastorale in ordine alla sfida suddetta. Legate a questa sfida di fondo ci sono poi l’accoglienza e l’integrazione, il dialogo, l’“uscita”: uno sguardo di simpatia verso tutti, convinti della necessità di riconoscere e valorizzare l’“umano” che è comune.

La crisi economica si è sentita molto?
Probabilmente si è avvertita di più in alcune zone del Decanato già fragili dal punto di vista socio-economico. In ogni caso, in tutte le Caritas parrocchiali sono sensibilmente aumentate le richieste di aiuto alimentare e di sostegno finanziario. Vi abbiamo fatto fronte con il Fondo Famiglia Lavoro e con iniziative delle singole comunità. Le parrocchie sono quotidianamente e insistentemente mèta di richieste di aiuto di persone senza fissa dimora. Nonostante il sostegno a persone e famiglie in difficoltà economica, sono state promosse l’accoglienza e l’integrazione dei rom e degli immigrati, la socializzazione e l’aiuto agli anziani, l’ospitalità dei parenti dei degenti negli ospedali cittadini e l’ospitalità dei bambini bielorussi, segnati dalle conseguenze della tragedia di Chernobyl.

Gli immigrati sono ben integrati?
Anche la qualità dell’integrazione va da zona a zona. Bisogna distinguere tra gli immigrati presenti da qualche decennio, come i filippini e i latino-americani (i più numerosi) con i quali l’integrazione è buona, e quanti sono giunti da noi in tempi recenti e sono ancora in cerca di una sistemazione dignitosa. L’integrazione dei cristiani dovrebbe diventare più significativa sul fronte della vita ecclesiale, per le persone di altre fedi sono in atto esperienze di accoglienza.

 

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