Redazione

Dopo essermi messo con voi in ascolto del Signore che ci parla, nello stesso clima di raccoglimento e di semplicità vorrei parlare a voi, rileggendo il cammino fatto ed esprimendo timori e speranze per questo momento di promulgazione del testo sinodale. Vorrei rispondere alle seguenti domande:

– 1. Come mi sono collocato in questi ultimi due anni rispetto al processo sinodale? – 2. Come leggo il cammino fatto

1. Come mi sono collocato rispetto al processo sinodale, fin dall’inizio della consultazione "La Chiesa di Milano si interroga", cioè a partire dai primi mesi del 1993? Mi sono messo in una disposizione di riverente ascolto di quanto lo Spirito volesse dire alla nostra Chiesa mediante le voci dei vari organismi sinodali e di tutti coloro che venivano chiamati a dire il loro parere.
Ho inteso mettermi in una situazione di attenzione e recettività verso quanto tutta la base ecclesiale potesse dire o esprimere. Non intendevo e non potevo certamente rinunciare al mio compito di discernimento, ma volevo che esso nascesse da un lungo tempo di macerazione e di ascolto. Mi interessava anche capire quanto dei programmi pastorali di questi anni e della loro ispirazione evangelica di fondo fosse passato di fatto nella base della nostra Chiesa e potesse venire riespresso da gruppi rappresentativi. Mi premeva cioè di verificare fino a che punto le grandi linee sia tematiche (silenzio, Parola, Eucaristia, missione, carità) sia trasversali (educare, comunicare, vigilare) godessero di un consenso comune nella media dei nostri fedeli.

2. Come leggo il cammino fatto? Mi pare che l’icona che ci ha accompagnato nel Sinodo esprima bene la chiave di lettura del cammino. Il firmavit faciem suam dice la situazione di Gesù all’inizio del "grande viaggio" verso Gerusalemme. Gesù è cosciente del cammino già percorso ed esprime il suo proposito forte di andare avanti nella nuova decisiva fase della sua vita. Così si è mossa la nostra Chiesa, prestando attenzione al "già" delle grazie ricevute, presenti nella sua struttura istituzionale e nelle sue tradizioni, per discernere il "non ancora", il cammino da intraprendersi con decisione.
Anche se non abbiamo fatto un’analisi dettagliata del difficile contesto contemporaneo, esso era ben presente nello sfondo di molti interventi, con le sue tentazioni di pessimismo e di frustrazione. Così la nostra Chiesa ha capito di trovarsi in un momento decisivo della sua storia, in una fine di millennio che chiede scelte coraggiose.
I sinodali hanno avuto modo di mostrare la loro profonda passione per il regno, il loro sincero amore alla Chiesa e la volontà ferma di una revisione di vita per orientare il cammino futuro. Mi ha molto colpito il grande spirito di responsabilità, la forte coscienza di appartenenza alla Chiesa ambrosiana nella comunione della Chiesa cattolica e nel vincolo col successore di Pietro. Ho ammirato la precisione organizzativa, la disciplina del lavoro, la capacità del rispetto dei tempi.
Mi ha impressionato il sincero sforzo di dire tutto quanto potesse essere pertinente al cammino di una Chiesa locale, tenendo conto delle sue tradizioni e sullo sfondo dei grandi principi del Concilio Vaticano II e delle prescrizioni del diritto. Ho apprezzato l’impegno per unire una visione teologica dei problemi con l’attenzione agli adempimenti pratici propri di una comunità cristiana. Mi è sembrato anche che la preoccupazione di dire tutto, ben comprensibile da parte di una larga rappresentanza in cui ciascuno ci teneva a che non fosse trascurato il proprio particolare problema e settore di interesse, rendesse l’insieme un po’ pesante. I testi venivano così ad assumere quello stile tipico di molti documenti ecclesiali, dove la completezza del discorso va a scapito dell’incisività. Non ho però ritenuto che si dovesse o neppure si potesse porre rimedio con qualche intervento autoritativo a tale situazione. Essa è probabilmente oggi in larga parte inevitabile, così come è praticamente inevitabile, in una società vasta e complessa, il moltiplicarsi sia delle leggi civili sia dei documenti ecclesiastici. Mi è sembrato che la via fosse un’altra, quella cioè di lasciar emergere il documento così come lo si veniva elaborando, suggerendo insieme di sottoporlo a qualche chiave di lettura che gli facesse ricuperare, nell’uso pratico, unità, energia e scioltezza.
Ho dunque sentito sempre più come mio contributo al Sinodo quello di dare qualcosa che, senza rinnegare il desiderio di completezza e di attenzione a tutte le "cose da fare", aiutasse a leggere l’insieme con un’impressione più vicina a quella che si ha leggendo gli Atti degli apostoli: un’impressione cioè di freschezza e di gioia, di apertura del cuore, di coraggio, quasi di "facilità", nella grazia dello Spirito, del vivere cristiano.

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