L'opinione di don Luigi Caldera, parroco e decano di Cesano Boscone
Redazione
21/11/2008
di Luisa BOVE
Sostenere le famiglie sta diventando un’esigenza sempre più diffusa: lo stesso cardinale Tettamanzi, nel Percorso pastorale, parla di «famiglie tutor» e di «genitorialità solidale», fino a raccomandare ai fedeli ambrosiani esperienze di affido e di adozione.
«Fortunatamente questo tema, che va al di là della generazione biologica, è molto presente», dice don Luigi Caldera, nuovo parroco e decano di Cesano Boscone, che ha lasciato da poco Cernusco sul Naviglio dove tornerà nei prossimi giorni per partecipare a un convegno sul tema dell’adozione e dell’affido intitolato “Dimmi da dove vengo e ti racconterò chi sono”.
«Sia qui che là sono tante le famiglie che si aprono a questa accoglienza e che avvertono la necessità di mettersi in “rete”, di lavorare con chi vive la stessa condizione. Un grande incoraggiamento viene anche dal nostro Arcivescovo, che continuamente fa riferimento a queste situazioni e invita ad aprirsi all’accoglienza».
Il cardinale Tettamanzi, parlando dei gruppi di mutuo aiuto, invita le famiglie a diventare protagoniste di un percorso di «riscatto sociale»…
Questo è quanto mai necessario, perché le iniziative private sono lodevoli, ma in realtà devono avere un’incidenza sociale, così che anche l’ente pubblico si renda conto delle necessità alle quali rispondere. Alle famiglie è chiesto un ruolo profetico e come sempre la comunità cristiana guarda avanti: aveva iniziato con i disabili, poi con gli apprendisti sul lavoro, con i tossicodipendenti… Ora è il momento delle situazioni familiari difficili che vanno segnalate all’ente pubblico perché se ne faccia carico e ne diventi responsabile.
L’Arcivescovo, quando parla delle famiglie in difficoltà, paradossalmente le considera anche in grado di aiutare a loro volta…
Certamente mettersi insieme aiuta a capire che le difficoltà sono di tutti e non soltanto del proprio nucleo familiare. A volte anche solo raccontare la propria esperienza può essere di aiuto agli altri, ma si può anche fare qualcosa, come condividere il tempo o partecipare insieme a un’iniziativa.
Si può iniziare anche ad aprire la propria casa e accogliere altri bambini per qualche ora il pomeriggio per i compiti, la merenda o per farli giocare con i figli…
Si tratta di recuperare i rapporti di buon vicinato e di vincere le paure, per non dire: «Quelle famiglie non le conosco, non so chi sono, cosa pensano…». Io credo che l’aspetto del vicinato vada ripreso anche dicendo: «Guardami il bambino mentre vado a fare la spesa», oppure «Accompagna anche mio figlio in piscina con il tuo». Questi gesti hanno una dimensione sociale ed è senz’altro positivo il confronto tra ragazzi e con altri metodi educativi. Tutto questo vissuto nel modo più normale.
Da qui si potrebbe poi passare all’affido…
Mi rendo conto sempre più di quanto sia difficile, vissuto e sentito forse come un gesto ancora troppo gratuito. L’affido è molto più complesso dal punto di vista affettivo che non l’adozione. Si fa molta più fatica a dire «Vivi l’affido per due ore al giorno o nel fine settimana» che non proporre di adottare un bambino.
L’associazione “A piccoli passi” inaugura ad Assago una mostra sull’affido familiare. È ancora possibile diffondere questa cultura nelle parrocchie, in decanato?
Io non ho dubbi. Nei corsi per i fidanzati questo tema lo affrontiamo sempre. A Cernusco avevamo fatto un incontro apposta per presentare l’esperienza di una famiglia affidataria e di una famiglia con figli in adozione. L’iniziativa è stata molto gradita, anche se qualcuno diceva che era prematuro parlarne con i futuri sposi. Ma io non lo credo, perché è un tema al quale ci si educa, non basta dire: «Siccome non ho figli miei allora lo adotto». A Cesano Boscone abbiamo già fatto due serate sul tema dei figli ed è uscita anche la questione dell’affido.