I critici incoronano “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, che ora si presenta alla serata degli Oscar tra i favoriti per il premio al miglior film straniero

di Paola DALLA TORRE

locandina 'La grande bellezza'

Era dal 1989 con Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, che l’Italia non vinceva un Golden Globe, i premi assegnati dai critici stranieri a Los Angeles che sono un’anticamera per i ben più conosciuti Oscar. Ma La grande bellezza di Paolo Sorrentino ha rotto l’incantesimo. Ci voleva Jep Gambardella, il giornalista mondano che ci guida nella scoperta della grande bellezza, decadente e frivola, di Roma (e dell’Italia), per riportare il nostro Paese a sperare, quantomeno nel suo cinema. La grande bellezza seduce e conquista Hollywood, dunque, e l’autore non se lo aspettava: «Non mi è stato anticipato niente, è stata una grande emozione. Agli americani è piaciuta la libertà con cui è stato utilizzato il mezzo cinematografico e questa grande cavalcata dentro Roma, una certa umanità». E poi ha aggiunto: «Grazie Italia, questo è un Paese davvero strano, ma bellissimo».

La strada del film di Sorrentino è partita da lontano e cioè dal Festival di Cannes, dove è stato presentato lo scorso anno con ottime recensioni da parte della stampa straniera, mentre quella italiana si è subito divisa fra gli entusiasti e i detrattori. La maggior parte delle recensioni mettevano a paragone la pellicola di Sorrentino, per esaltarla o criticarla, con La dolce vita di Federico Fellini. La pellicola del maestro riminese, vincitrice del Festival di Cannes del 1960, raccontava Roma e la sua vita mondana e non aveva convinto tutti i critici italiani, anzi aveva creato non poche polemiche per il ritratto impietoso di un’umanità meschina, gretta e senza più una morale. Oggi questo film è considerato un capolavoro, un’“opera mondo” capace di incarnare tutta l’atmosfera della propria epoca. La deriva del protagonista, un Marcello Mastroianni alter-ego del regista, rappresentava la deriva di tutto un mondo, che sulle spinte della modernità si stava secolarizzando e stava perdendo di vista ogni valore religioso e anche umano.

La pellicola di Sorrentino sembra essere una riproposizione in chiave contemporanea di quell’opera senza tempo. Scrittore di un solo libro giovanile, L’apparato umano, Jep Gambardella, giornalista di costume, critico teatrale, opinionista tuttologo, compie sessantacinque anni chiamando a sé, in una festa barocca e cafona, il campionario freaks di amici e conoscenti con cui ama trascorrere infinite serate sul bordo del suo terrazzo con vista sul Colosseo. Trasferitosi a Roma in giovane età, come un novello vitellone in cerca di fortuna, Jep rifluisce presto nel girone dantesco dell’alto borgo, diventandone il cantore supremo, il divo disincantato. Re di un bestiario umano senza speranza, a un passo dall’abisso, prossimo all’estinzione, eppure ancora sguaiatamente vitale fatto di poeti muti, attrici cocainomani fallite in procinto di scrivere un romanzo, cardinali-cuochi in odore di soglio pontificio, imprenditori che producono giocattoli, scrittrici di partito con carriera televisiva, drammaturghi di provincia che mai hanno esordito, misteriose spogliarelliste cinquantenni, sante oracolari pauperiste ospiti di una suite dell’Hassler.

Sorrentino racconta Roma e il suo cuore nero, cercando di svelare i fantasmi della città eterna, esseri notturni che spariscono all’alba, all’ombra di un colonnato, di un palazzo nobiliare, di una chiesa barocca. La grande bellezza è una impassibile metafora dei nostri tempi fatti di immagini, superfici, apparenze e privi di quella tanto vagheggiata “grande bellezza” che il titolo richiama.

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