Diventerà un prodotto a prezzo di mercato

a cura di Patrizia CAIFFA
Redazione

Con il sì definitivo dell’Aula della Camera al decreto legge Ronchi che liberalizza i servizi pubblici locali, la gestione dell’acqua e dei rifiuti passerà progressivamente nelle mani dei privati, mentre la proprietà della rete idrica resterà agli enti locali. Sul provvedimento il Governo aveva posto la fiducia.
Contro la privatizzazione si sono già sollevate le associazioni dei consumatori e della società civile, dicendosi «pronte al referendum». Anche Benedetto XVI, nel suo discorso alla Fao il 16 novembre, aveva invitato a non «dimenticare i diritti fondamentali della persona, tra cui spicca il diritto a un’alimentazione sufficiente, sana e nutriente, come pure all’acqua».
Ne abbiamo parlato con Emilio Molinari, presidente del Comitato italiano per un Contratto Mondiale sull’acqua, che dal 2002 si batte per il diritto all’acqua come bene pubblico.

Cosa accadrà all’acqua pubblica con questo decreto?
È caduto l’ultimo bastione di resistenza pubblica rappresentato dalle società per azioni in house, cioè con il 100% del pacchetto azionario in mano ai Comuni. Questo è ancora in atto in 64 ambiti territoriali italiani. Dal 2011 le società in house saranno costrette a mettere sul mercato e quotare in borsa il 40% del loro pacchetto azionario. Il decreto prevede che il punto di riferimento del privato diventi determinante all’interno del consiglio di amministrazione. Questo non è un fatto da poco: insisto a dire che l’acqua non è un servizio, ma un diritto umano, e i cittadini non sono né consumatori, né utenti, ma portatori di un diritto. E il diritto non è solo la proprietà dell’acqua pubblica. Perché il passaggio dal diritto al mercato si misura sulla gestione: se io dò in gestione per 30 anni l’acqua potabile del rubinetto vuol dire che l’acqua italiana è in mano ai privati. La mistificazione di questi giorni è banale ipocrisia. Con il decreto si attuerà e si concluderà una lunga battaglia che dura da 10 anni. Noi abbiamo anche presentato una legge di iniziativa popolare, con 400 mila firme consegnate al Parlamento. Ma tutto ciò viene vanificato dal decreto.

C’è chi sostiene che l’Europa obbliga alla privatizzazione. È vero?
Non è affatto vero. Tant’è che la Francia, prima nazione a privatizzare il proprio servizio idrico, lo sta rendendo di nuovo totalmente pubblico. Il Belgio ha fatto una legge per non privatizzare l’acqua. La Germania ha bloccato la privatizzazione, nonostante sia il Paese dove ha sede una delle principali multinazionali dell’acqua. Anche la Spagna e l’Austria hanno detto no alla privatizzazione. Per non parlare dell’America Latina, dove addirittura sulla questione dell’acqua vengono cambiate le Costituzioni. Anche negli Usa l’acqua è in mano alle municipalità.

Quindi in Italia i cittadini non avranno più voce in capitolo…
Già. La cosiddetta “acqua del sindaco” sparisce e i cittadini non potranno più chiedere conto della gestione dell’acqua. Ma se una multinazionale francese o una banca (perché saranno loro alla fine a prendere tutto) detteranno la politica degli acquedotti, come succede in Inghilterra, i cittadini non potranno fare più niente. Diventeranno solo consumatori di un prodotto che sta sul mercato.

Si parla di aumenti di tariffe e infiltrazioni mafiose nei capitali. Rischi reali?
Certo. Rischiamo di avere, prima di tutto, una discriminazione sociale nei consumi tra la povera gente. Un esempio: a Leonforte, in Sicilia, è in atto da anni uno sciopero della bolletta dell’acqua. Le assemblee sono affollatissime da pensionati perché cominciano a non farcela più: se aumenta la bolletta del gas, della luce, dei rifiuti, dell’acqua, il peso diviene insostenibile. I prezzi, dettati dal mercato, aumenteranno sicuramente con una certa gradualità, per non irritare troppo i cittadini. All’inizio ci saranno aumenti del 20%, ma poi si arriverà a situazioni come ad Aprilia, dove sono stati del 200%. E poi chi è il privato nelle regioni del Sud o a Milano? La mafia e la camorra ormai sono entrate nei mercati finanziari. È chiaro che il capitale entrerà nelle società. La politica italiana sembra non rendersi conto che sta determinando un passaggio epocale e spaventoso, per certi versi. È come se la sbornia privatistica continuasse in Italia senza prendere atto che molti Paesi stanno cambiando rotta!

Tempi brevissimi per la fiducia al decreto, quale sarà la vostra contromossa?
È stato fatto in tempi brevissimi perché, più passava il tempo, più la gente si coscientizzava, anche grazie alla stampa e ai giornalisti. Pensiamo di ripartire soprattutto dai territori, dagli amministratori, che non si rassegneranno al decreto. C’è tempo fino al 2011, organizzeremo la resistenza sindaco per sindaco. Chiederemo alle Regioni di impugnare la legge per anticostituzionalità e a tutti i partiti italiani di non andare avanti con i corporativismi: l’acqua è vita per tutti. Tutti insieme possiamo andare a un referendum. Prevediamo anche proteste di piazza. Già in queste ore stanno avvenendo manifestazioni spontanee un po’ ovunque, senza che il Forum italiano dei movimenti le abbia convocate. In tempi brevi bisogna arrivare a qualcosa di molto grande, almeno nelle città.

“Salva l’acqua” è stato finora il vostro slogan. Quale sarà il prossimo?
Dovremo discuterne nel movimento, ma credo che, a questo punto, dovremmo dire “Ripubblicizziamo l’acqua ovunque”. Rimettiamola nelle mani degli amministratori locali e chiediamo loro di essere onesti ed efficienti. Ma soprattutto chiediamo a noi stessi di partecipare. Nelle città possiamo essere davvero i controllori della politica e dei nostri beni comuni. Con il sì definitivo dell’Aula della Camera al decreto legge Ronchi che liberalizza i servizi pubblici locali, la gestione dell’acqua e dei rifiuti passerà progressivamente nelle mani dei privati, mentre la proprietà della rete idrica resterà agli enti locali. Sul provvedimento il Governo aveva posto la fiducia.Contro la privatizzazione si sono già sollevate le associazioni dei consumatori e della società civile, dicendosi «pronte al referendum». Anche Benedetto XVI, nel suo discorso alla Fao il 16 novembre, aveva invitato a non «dimenticare i diritti fondamentali della persona, tra cui spicca il diritto a un’alimentazione sufficiente, sana e nutriente, come pure all’acqua».Ne abbiamo parlato con Emilio Molinari, presidente del Comitato italiano per un Contratto Mondiale sull’acqua, che dal 2002 si batte per il diritto all’acqua come bene pubblico.Cosa accadrà all’acqua pubblica con questo decreto?È caduto l’ultimo bastione di resistenza pubblica rappresentato dalle società per azioni in house, cioè con il 100% del pacchetto azionario in mano ai Comuni. Questo è ancora in atto in 64 ambiti territoriali italiani. Dal 2011 le società in house saranno costrette a mettere sul mercato e quotare in borsa il 40% del loro pacchetto azionario. Il decreto prevede che il punto di riferimento del privato diventi determinante all’interno del consiglio di amministrazione. Questo non è un fatto da poco: insisto a dire che l’acqua non è un servizio, ma un diritto umano, e i cittadini non sono né consumatori, né utenti, ma portatori di un diritto. E il diritto non è solo la proprietà dell’acqua pubblica. Perché il passaggio dal diritto al mercato si misura sulla gestione: se io dò in gestione per 30 anni l’acqua potabile del rubinetto vuol dire che l’acqua italiana è in mano ai privati. La mistificazione di questi giorni è banale ipocrisia. Con il decreto si attuerà e si concluderà una lunga battaglia che dura da 10 anni. Noi abbiamo anche presentato una legge di iniziativa popolare, con 400 mila firme consegnate al Parlamento. Ma tutto ciò viene vanificato dal decreto.C’è chi sostiene che l’Europa obbliga alla privatizzazione. È vero?Non è affatto vero. Tant’è che la Francia, prima nazione a privatizzare il proprio servizio idrico, lo sta rendendo di nuovo totalmente pubblico. Il Belgio ha fatto una legge per non privatizzare l’acqua. La Germania ha bloccato la privatizzazione, nonostante sia il Paese dove ha sede una delle principali multinazionali dell’acqua. Anche la Spagna e l’Austria hanno detto no alla privatizzazione. Per non parlare dell’America Latina, dove addirittura sulla questione dell’acqua vengono cambiate le Costituzioni. Anche negli Usa l’acqua è in mano alle municipalità.Quindi in Italia i cittadini non avranno più voce in capitolo…Già. La cosiddetta “acqua del sindaco” sparisce e i cittadini non potranno più chiedere conto della gestione dell’acqua. Ma se una multinazionale francese o una banca (perché saranno loro alla fine a prendere tutto) detteranno la politica degli acquedotti, come succede in Inghilterra, i cittadini non potranno fare più niente. Diventeranno solo consumatori di un prodotto che sta sul mercato.Si parla di aumenti di tariffe e infiltrazioni mafiose nei capitali. Rischi reali? Certo. Rischiamo di avere, prima di tutto, una discriminazione sociale nei consumi tra la povera gente. Un esempio: a Leonforte, in Sicilia, è in atto da anni uno sciopero della bolletta dell’acqua. Le assemblee sono affollatissime da pensionati perché cominciano a non farcela più: se aumenta la bolletta del gas, della luce, dei rifiuti, dell’acqua, il peso diviene insostenibile. I prezzi, dettati dal mercato, aumenteranno sicuramente con una certa gradualità, per non irritare troppo i cittadini. All’inizio ci saranno aumenti del 20%, ma poi si arriverà a situazioni come ad Aprilia, dove sono stati del 200%. E poi chi è il privato nelle regioni del Sud o a Milano? La mafia e la camorra ormai sono entrate nei mercati finanziari. È chiaro che il capitale entrerà nelle società. La politica italiana sembra non rendersi conto che sta determinando un passaggio epocale e spaventoso, per certi versi. È come se la sbornia privatistica continuasse in Italia senza prendere atto che molti Paesi stanno cambiando rotta!Tempi brevissimi per la fiducia al decreto, quale sarà la vostra contromossa?È stato fatto in tempi brevissimi perché, più passava il tempo, più la gente si coscientizzava, anche grazie alla stampa e ai giornalisti. Pensiamo di ripartire soprattutto dai territori, dagli amministratori, che non si rassegneranno al decreto. C’è tempo fino al 2011, organizzeremo la resistenza sindaco per sindaco. Chiederemo alle Regioni di impugnare la legge per anticostituzionalità e a tutti i partiti italiani di non andare avanti con i corporativismi: l’acqua è vita per tutti. Tutti insieme possiamo andare a un referendum. Prevediamo anche proteste di piazza. Già in queste ore stanno avvenendo manifestazioni spontanee un po’ ovunque, senza che il Forum italiano dei movimenti le abbia convocate. In tempi brevi bisogna arrivare a qualcosa di molto grande, almeno nelle città.“Salva l’acqua” è stato finora il vostro slogan. Quale sarà il prossimo?Dovremo discuterne nel movimento, ma credo che, a questo punto, dovremmo dire “Ripubblicizziamo l’acqua ovunque”. Rimettiamola nelle mani degli amministratori locali e chiediamo loro di essere onesti ed efficienti. Ma soprattutto chiediamo a noi stessi di partecipare. Nelle città possiamo essere davvero i controllori della politica e dei nostri beni comuni.

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