Se ne aspettavano almeno 600 mila. Alla fine sono poco più di 300 mila: chi è rimasta nella clandestinità perché le famiglie hanno paura o non possono sostenere un contratto regolare, chi invece se ne è approfittato. Le esperienze della Caritas e della Cisl milanese. «Qualche immigrato ha raccontato di agenzie che promettevano il permesso per 8 mila euro»
di Francesco CHIAVARINI
Redazione
Fine settembre. Tempo, ancora, di coni e coppette. Ma tempo scaduto per la sanatoria voluta dal Governo, al fine di neutralizzare uno degli effetti collaterali più pericolosi del “pacchetto sicurezza”. A 24 ore dal termine per la regolarizzazione di colf e badanti, le richieste di moduli pervenuti al Ministero dell’Interno erano 316.493, le domande effettivamente trasmesse 257.975, meno della metà di quelle che ci si attendeva. Eppure quello che stava passando, per molti stranieri, era probabilmente l’ultimo treno. Tanto che c’è chi ha provato a salire, anche truccando un po’ le carte.
«Che cosa dovevo fare? – si schermisce Antonio, titolare di un bar a Milano -. Abbiamo provato con il decreto flussi del 2007. Ma siamo rimasti fuori per un soffio. Ci hanno detto che ci avrebbero ripescati. E dopo due anni non sappiamo ancora nulla di quella domanda. Così ho trovato questo escamotage: assumo Flutura, 24 anni, albanese come colf, le faccio ottenere il permesso di soggiorno, poi la licenzio e la riprendo al bar. Lei si regolarizza, come è giusto che sia, perché è una brava ragazza che lavora sodo senza mai lamentarsi, e io non mi devo più preoccupare dei controlli».
Ecco così che ovunque, non solo in gelateria, si materializzano piccole bugie, trucchetti per aggirare i limiti di una legge che lascia passare una sola categoria di lavoratori. E tiene fuori dalla porta tutti gli altri. Per capire quanto sia grottesco il gioco, basta fare un giro davanti a uno degli sportelli dei patronati Acli o dei sindacati, creati per offrire assistenza nella compilazione delle domande. In fila, a chiedere informazioni, trovi uomini con le mani callose, indosso ancora le tute da lavoro sporche di vernice, che ti dicono di avere fatto solo due anni prima la domanda per regolarizzarsi come imbianchini; oppure operai marocchini che si spacciano per colf, quando in casa loro, per tradizione culturale, non hanno mai preso in mano nemmeno una ramazza per spazzare per terra. «Era un effetto facilmente immaginabile e che puntualmente si è verificato: quando apri solo a una categoria professionale e non offri alternative alle altre, è ovvio che gli esclusi cerchino di passare attraverso quell’unica porta e, per farlo, si inventino gli stratagemmi più fantasiosi – sintetizza Pedro Di Iorio, responsabile del Servizio accoglienza immigrati della Caritas Ambrosiana -. Ma questi sono ancora peccati veniali. Purtroppo non ci sono soltanto datori di lavoro che si accordano con i propri dipendenti per trovare una via d’uscita alla clandestinità e al nero, c’è anche chi se ne approfitta».
È il caso di pseudo-imprenditori, che si fanno avanti per offrire la regolarizzazione dietro lauti compensi. «Qualche immigrato mi ha raccontato di essere stato avvicinato da agenzie che promettevano il permesso di soggiorno attraverso assunzioni con ogni probabilità fittizie, e in cambio si facevano pagare anche 8 mila euro», rivela Di Iorio.
Estorsioni sulla pelle di disperati. Truffe belle e buone. Lo confermano anche alla Cisl di Milano. «Non possiamo dirlo con certezza – sostiene Maurizio Bove, responsabile immigrazione per il sindacato -. Ma dai racconti che ascoltiamo ai nostri sportelli il gioco sembra questo: l’agenzia promette l’assunzione come colf e badante, si propone per compilare la domanda e presentarla al Ministero. In cambio, lo straniero paga una certa cifra, che parte da 2 mila euro e può arrivare a 8 mila. Ma attenzione: il posto di lavoro probabilmente non esiste e al momento della convalida in Prefettura, l’imprenditore farà sparire le tracce. Così l’immigrato, dopo avere speso un sacco di soldi, si ritroverà con un pugno di mosche in mano».
Furbizie, raggiri, truffe, ai danni di chi sgomita per avere un posto sull’espresso che lo può finalmente sbarcare nell’Italia “regolare”. E poi i paradossi: come quello che colpisce chi su quell’espresso avrebbe un posto prenotato, ma rischia di rimanere a terra. Alina, 34anni, ucraina, lavora per una famiglia a Milano. Fino a qualche tempo fa curava un ottantenne e la moglie non più autosufficiente. Poi l’uomo è morto ed è rimasta soltanto la donna, «che poverina non ci sta più con la testa e rimane tutto il giorno a letto», racconta Alina. Nonostante le sue ore di lavoro siano rimaste le stesse, il figlio della coppia, un pensionato 50enne, ha pensato bene di ridurle lo stipendio, in nero, da mille a 800 euro. «È una miseria per il lavoro che faccio – protesta la donna -. Sto tutto il tempo in casa, compresa la notte. Ora, però, pensavo di mettermi a posto, ho chiesto al padrone di regolarizzarmi. Ma lui mi ha detto che non può, che teme di dovere pagare delle multe, che se non mi sta bene posso andarmene. Sono arrabbiatissima: ho regalato a questa famiglia tre anni della mia vita». Il caso di Alina non è isolato. Il decreto sicurezza prevede che sia sequestrato l’immobile al proprietario che ospita un clandestino. Eppure c’è chi preferisce correre il rischio di perdere la casa, invece di mettere in regola la badante che vive con i genitori anziani, confidando nel fatto che i controlli alla fine non ci saranno. D’altra parte l’andamento delle domande presentate al Ministero – molto al di sotto delle attese – dimostra lo scarso entusiasmo delle famiglie italiane per questa sanatoria. Fine settembre. Tempo, ancora, di coni e coppette. Ma tempo scaduto per la sanatoria voluta dal Governo, al fine di neutralizzare uno degli effetti collaterali più pericolosi del “pacchetto sicurezza”. A 24 ore dal termine per la regolarizzazione di colf e badanti, le richieste di moduli pervenuti al Ministero dell’Interno erano 316.493, le domande effettivamente trasmesse 257.975, meno della metà di quelle che ci si attendeva. Eppure quello che stava passando, per molti stranieri, era probabilmente l’ultimo treno. Tanto che c’è chi ha provato a salire, anche truccando un po’ le carte.«Che cosa dovevo fare? – si schermisce Antonio, titolare di un bar a Milano -. Abbiamo provato con il decreto flussi del 2007. Ma siamo rimasti fuori per un soffio. Ci hanno detto che ci avrebbero ripescati. E dopo due anni non sappiamo ancora nulla di quella domanda. Così ho trovato questo escamotage: assumo Flutura, 24 anni, albanese come colf, le faccio ottenere il permesso di soggiorno, poi la licenzio e la riprendo al bar. Lei si regolarizza, come è giusto che sia, perché è una brava ragazza che lavora sodo senza mai lamentarsi, e io non mi devo più preoccupare dei controlli».Ecco così che ovunque, non solo in gelateria, si materializzano piccole bugie, trucchetti per aggirare i limiti di una legge che lascia passare una sola categoria di lavoratori. E tiene fuori dalla porta tutti gli altri. Per capire quanto sia grottesco il gioco, basta fare un giro davanti a uno degli sportelli dei patronati Acli o dei sindacati, creati per offrire assistenza nella compilazione delle domande. In fila, a chiedere informazioni, trovi uomini con le mani callose, indosso ancora le tute da lavoro sporche di vernice, che ti dicono di avere fatto solo due anni prima la domanda per regolarizzarsi come imbianchini; oppure operai marocchini che si spacciano per colf, quando in casa loro, per tradizione culturale, non hanno mai preso in mano nemmeno una ramazza per spazzare per terra. «Era un effetto facilmente immaginabile e che puntualmente si è verificato: quando apri solo a una categoria professionale e non offri alternative alle altre, è ovvio che gli esclusi cerchino di passare attraverso quell’unica porta e, per farlo, si inventino gli stratagemmi più fantasiosi – sintetizza Pedro Di Iorio, responsabile del Servizio accoglienza immigrati della Caritas Ambrosiana -. Ma questi sono ancora peccati veniali. Purtroppo non ci sono soltanto datori di lavoro che si accordano con i propri dipendenti per trovare una via d’uscita alla clandestinità e al nero, c’è anche chi se ne approfitta».È il caso di pseudo-imprenditori, che si fanno avanti per offrire la regolarizzazione dietro lauti compensi. «Qualche immigrato mi ha raccontato di essere stato avvicinato da agenzie che promettevano il permesso di soggiorno attraverso assunzioni con ogni probabilità fittizie, e in cambio si facevano pagare anche 8 mila euro», rivela Di Iorio.Estorsioni sulla pelle di disperati. Truffe belle e buone. Lo confermano anche alla Cisl di Milano. «Non possiamo dirlo con certezza – sostiene Maurizio Bove, responsabile immigrazione per il sindacato -. Ma dai racconti che ascoltiamo ai nostri sportelli il gioco sembra questo: l’agenzia promette l’assunzione come colf e badante, si propone per compilare la domanda e presentarla al Ministero. In cambio, lo straniero paga una certa cifra, che parte da 2 mila euro e può arrivare a 8 mila. Ma attenzione: il posto di lavoro probabilmente non esiste e al momento della convalida in Prefettura, l’imprenditore farà sparire le tracce. Così l’immigrato, dopo avere speso un sacco di soldi, si ritroverà con un pugno di mosche in mano».Furbizie, raggiri, truffe, ai danni di chi sgomita per avere un posto sull’espresso che lo può finalmente sbarcare nell’Italia “regolare”. E poi i paradossi: come quello che colpisce chi su quell’espresso avrebbe un posto prenotato, ma rischia di rimanere a terra. Alina, 34anni, ucraina, lavora per una famiglia a Milano. Fino a qualche tempo fa curava un ottantenne e la moglie non più autosufficiente. Poi l’uomo è morto ed è rimasta soltanto la donna, «che poverina non ci sta più con la testa e rimane tutto il giorno a letto», racconta Alina. Nonostante le sue ore di lavoro siano rimaste le stesse, il figlio della coppia, un pensionato 50enne, ha pensato bene di ridurle lo stipendio, in nero, da mille a 800 euro. «È una miseria per il lavoro che faccio – protesta la donna -. Sto tutto il tempo in casa, compresa la notte. Ora, però, pensavo di mettermi a posto, ho chiesto al padrone di regolarizzarmi. Ma lui mi ha detto che non può, che teme di dovere pagare delle multe, che se non mi sta bene posso andarmene. Sono arrabbiatissima: ho regalato a questa famiglia tre anni della mia vita». Il caso di Alina non è isolato. Il decreto sicurezza prevede che sia sequestrato l’immobile al proprietario che ospita un clandestino. Eppure c’è chi preferisce correre il rischio di perdere la casa, invece di mettere in regola la badante che vive con i genitori anziani, confidando nel fatto che i controlli alla fine non ci saranno. D’altra parte l’andamento delle domande presentate al Ministero – molto al di sotto delle attese – dimostra lo scarso entusiasmo delle famiglie italiane per questa sanatoria. – – Quattro su dieci vengono dall’Est