La crisi e i rigurgiti protezionistici mettono a rischio il mercato unico. Quali scelte per non indebolire l'Unione?
Gianni BORSA
Redazione
«Se crollasse un Paese come l’Ungheria, o come uno dei tre Stati baltici, ne pagherebbe le conseguenze anche l’Europa occidentale»: varie banche, «in Austria, Italia e Svezia, che hanno investito grosse somme di denaro all’Est, subirebbero perdite catastrofiche». L’analisi è del prestigioso settimanale londinese The Economist, che aggiunge: «La paura di un crollo a oriente, unita agli atavici istinti protezionistici che stanno risorgendo in tutta Europa, potrebbe facilmente distruggere la conquista di cui l’Unione va più fiera: il mercato unico».
L’Ue è a un bivio, così come lo è l’intera Comunità internazionale: dopo il crollo del comunismo, si scopre che anche il sistema liberistico da sé non si regge, specie nelle sue forme più accentuate di deregulation, tanto in voga negli anni Ottanta e Novanta. Oggi tutti – dagli economisti ai capi di Stato occidentali, dai banchieri centrali ai leader dei Paesi emergenti – invocano «regole» per i mercati, «strategie coordinate», «sostegni pubblici» al credito e alle imprese… Gli stessi temi posti all’ordine del giorno del Consiglio europeo di oggi e domani a Bruxelles, con una Ue in cerca della ricetta giusta per far fronte alla recessione, la quale sta particolarmente pesando sull’ex blocco sovietico. «Se crollasse un Paese come l’Ungheria, o come uno dei tre Stati baltici, ne pagherebbe le conseguenze anche l’Europa occidentale»: varie banche, «in Austria, Italia e Svezia, che hanno investito grosse somme di denaro all’Est, subirebbero perdite catastrofiche». L’analisi è del prestigioso settimanale londinese The Economist, che aggiunge: «La paura di un crollo a oriente, unita agli atavici istinti protezionistici che stanno risorgendo in tutta Europa, potrebbe facilmente distruggere la conquista di cui l’Unione va più fiera: il mercato unico».L’Ue è a un bivio, così come lo è l’intera Comunità internazionale: dopo il crollo del comunismo, si scopre che anche il sistema liberistico da sé non si regge, specie nelle sue forme più accentuate di deregulation, tanto in voga negli anni Ottanta e Novanta. Oggi tutti – dagli economisti ai capi di Stato occidentali, dai banchieri centrali ai leader dei Paesi emergenti – invocano «regole» per i mercati, «strategie coordinate», «sostegni pubblici» al credito e alle imprese… Gli stessi temi posti all’ordine del giorno del Consiglio europeo di oggi e domani a Bruxelles, con una Ue in cerca della ricetta giusta per far fronte alla recessione, la quale sta particolarmente pesando sull’ex blocco sovietico. Le ricadute della recessione Il vertice straordinario del 1° marzo ha negato la necessità di un piano speciale di aiuti per i nuovi Stati membri, espressamente chiesto da alcune capitali orientali, a partire da Budapest. «Valuteremo caso per caso», è stata la posizione delle istituzioni comunitarie, che peraltro ha avuto l’avallo dei leader nazionali. Il quotidiano economico francese Les Echos avverte però: «Senza un piano di aiuti, l’Europa potrebbe spaccarsi di nuovo. L’opinione pubblica e i leader politici dei paesi dell’Est non capiscono perché i membri storici dell’Ue non li stanno soccorrendo. La conseguenza potrebbe essere il rifiuto dei valori dell’Unione, senza contare il possibile riemergere degli estremismi».Sono questi gli interrogativi circolanti in vista del summit Ue di primavera. Ci si domanda non solo come affrontare la crisi economica e finanziaria (puntando finalmente l’attenzione anche sui risvolti negativi in ambito sociale e occupazionale), ma anche quali ricadute politiche potrebbero generarsi dalla recessione: nazionalismo, protezionismo, riemergere degli estremismi, nuove alleanze e nuovi equilibri potrebbero essere dietro l’angolo. Lo ha avvertito in maniera esplicita il giornale ceco Hospodarske Noviny: «Le nazioni più ricche» dell’Europa comunitaria «sanno bene che sarà inevitabile salvare almeno l’Ungheria e la Lettonia. Abbandonandole a se stesse si rischierebbe di favorire l’ascesa di forze populiste e di far aumentare l’influenza della Russia sulla popolazione». La conclusione è grave, ma comprensibile: «Ora è in gioco il senso stesso dell’Unione».I suggerimenti sulle decisioni da assumere fra i 27 non mancano; i “piani per la ripresa” sono in fase di definizione; neppure si rinuncia alla “concertazione globale” (G20, G8). Di sicuro l’Europa deve decidere: può serrare i ranghi nel segno della solidarietà oppure stare alla finestra aspettando che la bufera passi. Ma se la prima opzione può risultare costosa, la seconda rischia di essere perdente.