Trent'anni fa nel Mar Cinese la Marina Italiana soccorse un migliaio di vietnamiti costretti a fuggire dal loro Paese: «Quelle navi rappresentarono un vento di speranza che soffiava via un incubo...»

Giovanni GUZZI
Redazione

Thi Thanh Ly ha poco più di 30 anni ed è di origine vietnamita. Laureata in Economia, cerca opportunità di lavoro nell’ambito della cooperazione internazionale. La sua famiglia vive in provincia di Bergamo e gestisce una gelateria artigianale, con soddisfazione propria e dei clienti.
Una bella realtà, che avrebbe però potuto essere ben più tragica se, nel 1979, la famiglia Ly non fosse stata recuperata in mare da alcune navi italiane in missione umanitaria nel Sud-Est Asiatico. Regione in cui migliaia di profughi provenienti dal Vietnam fuggivano in cerca della libertà negata loro in patria, avventurandosi su imbarcazioni precarie e stracolme: per questo presero il nome di “Boat People”. Un quadro che conserva ancor oggi la sua attualità e che ci è tanto vicino da impedirci di percepirne tutta la drammaticità.
«All’epoca avevo poco più di un anno – ricorda Thanh -, ma ogni volta che vedo immagini o sento racconti di quel viaggio di speranza mi commuovo». Scegliere di lasciare il proprio Paese non è mai una decisione facile. Nemmeno se il Paese che lasci è povero: perché significa abbandonare famiglia, casa, amici, sapendo che forse non li rivedrai mai più, e affrontare l’ignoto, che non necessariamente è migliore.
Per i genitori di Thanh la decisione di partire nacque dalla volontà di fuggire: la sconfitta del Vietnam del Sud e l’imposizione del regime comunista avevano portato all’esproprio della proprietà privata e ad arresti ingiustificati (in particolare fra gli appartenenti all’etnia cinese, che deteneva le principali attività economiche). «La libertà come era stata concepita fino ad allora non esisteva più – raccontano -, soppiantata dalla costante paura di perdere quanto posseduto, cominciando dalla libertà di movimento e di parola».
«Mio padre e mia madre decisero così di inseguire l’unica possibilità che si prospettava loro per avere un futuro di pace e libertà: intraprendere un viaggio dove era in gioco la vita – continua Thanh -. Su una piccola imbarcazione stracarica di altri cuori pieni di paura e speranza riuscirono a sopravvivere alle onde del Mar Cinese meridionale e a raggiungere le coste della Malesia». Qui le autorità, non potendo più sopportare il carico dei continui arrivi, iniziarono operazioni di respingimento e rimpatrio: dopo un mese di permanenza nel centro profughi, la famiglia Ly fu costretta a imbarcarsi di nuovo, trainata in alto mare da alcuni scafi malesi e abbandonata in balia delle correnti.
«Difficile immaginare e descrivere le sensazioni provate quando il rombo di un elicottero sovrastò il rumore del mare preannunciando l’avvistamento all’orizzonte delle navi italiane che avevano affrontato un lungo viaggio per soccorrerci – riprende Thanh -. Il viaggio non era ancora terminato, altre miglia di navigazione erano all’orizzonte, ma quelle navi rappresentavano un raggio di sole, un vento di speranza che soffiava via un incubo…».
A 30 anni dall’arrivo in Italia, il 22 agosto scorso la comunità vietnamita si è riunita a Jesolo per ringraziare la Marina Italiana, la Croce Rossa e tutti gli italiani che tanto hanno fatto per permettere ai profughi di ricostruirsi una vita nella loro seconda patria. Una giornata all’insegna dell’amicizia tra due popoli, per ricordare, ma anche per ringraziare tutte quelle persone senza le quali 907 vite avrebbero avuto un’altra storia. «Una giornata – commenta Thanh – in cui ho sentito il mio cuore vietnamita battere di forti emozioni, orgogliosa di essere italiana». Thi Thanh Ly ha poco più di 30 anni ed è di origine vietnamita. Laureata in Economia, cerca opportunità di lavoro nell’ambito della cooperazione internazionale. La sua famiglia vive in provincia di Bergamo e gestisce una gelateria artigianale, con soddisfazione propria e dei clienti.Una bella realtà, che avrebbe però potuto essere ben più tragica se, nel 1979, la famiglia Ly non fosse stata recuperata in mare da alcune navi italiane in missione umanitaria nel Sud-Est Asiatico. Regione in cui migliaia di profughi provenienti dal Vietnam fuggivano in cerca della libertà negata loro in patria, avventurandosi su imbarcazioni precarie e stracolme: per questo presero il nome di “Boat People”. Un quadro che conserva ancor oggi la sua attualità e che ci è tanto vicino da impedirci di percepirne tutta la drammaticità.«All’epoca avevo poco più di un anno – ricorda Thanh -, ma ogni volta che vedo immagini o sento racconti di quel viaggio di speranza mi commuovo». Scegliere di lasciare il proprio Paese non è mai una decisione facile. Nemmeno se il Paese che lasci è povero: perché significa abbandonare famiglia, casa, amici, sapendo che forse non li rivedrai mai più, e affrontare l’ignoto, che non necessariamente è migliore.Per i genitori di Thanh la decisione di partire nacque dalla volontà di fuggire: la sconfitta del Vietnam del Sud e l’imposizione del regime comunista avevano portato all’esproprio della proprietà privata e ad arresti ingiustificati (in particolare fra gli appartenenti all’etnia cinese, che deteneva le principali attività economiche). «La libertà come era stata concepita fino ad allora non esisteva più – raccontano -, soppiantata dalla costante paura di perdere quanto posseduto, cominciando dalla libertà di movimento e di parola».«Mio padre e mia madre decisero così di inseguire l’unica possibilità che si prospettava loro per avere un futuro di pace e libertà: intraprendere un viaggio dove era in gioco la vita – continua Thanh -. Su una piccola imbarcazione stracarica di altri cuori pieni di paura e speranza riuscirono a sopravvivere alle onde del Mar Cinese meridionale e a raggiungere le coste della Malesia». Qui le autorità, non potendo più sopportare il carico dei continui arrivi, iniziarono operazioni di respingimento e rimpatrio: dopo un mese di permanenza nel centro profughi, la famiglia Ly fu costretta a imbarcarsi di nuovo, trainata in alto mare da alcuni scafi malesi e abbandonata in balia delle correnti.«Difficile immaginare e descrivere le sensazioni provate quando il rombo di un elicottero sovrastò il rumore del mare preannunciando l’avvistamento all’orizzonte delle navi italiane che avevano affrontato un lungo viaggio per soccorrerci – riprende Thanh -. Il viaggio non era ancora terminato, altre miglia di navigazione erano all’orizzonte, ma quelle navi rappresentavano un raggio di sole, un vento di speranza che soffiava via un incubo…».A 30 anni dall’arrivo in Italia, il 22 agosto scorso la comunità vietnamita si è riunita a Jesolo per ringraziare la Marina Italiana, la Croce Rossa e tutti gli italiani che tanto hanno fatto per permettere ai profughi di ricostruirsi una vita nella loro seconda patria. Una giornata all’insegna dell’amicizia tra due popoli, per ricordare, ma anche per ringraziare tutte quelle persone senza le quali 907 vite avrebbero avuto un’altra storia. «Una giornata – commenta Thanh – in cui ho sentito il mio cuore vietnamita battere di forti emozioni, orgogliosa di essere italiana».

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