Le ultime misure anticrisi varate dal Governo saranno davvero utili o sono soltanto provvedimenti dilatori?

Nico CURCI Economista
Redazione

La manovra estiva del Governo, varata lo scorso fine settimana, è di quelle destinate per forza di cose a dividere i commentatori, proprio come il vecchio bicchiere. Mezzo pieno o mezzo vuoto? Misure utili contro la crisi o ancora un inutile prendere tempo?
Non vorremmo entrare nel club degli entusiasti convinti o in quello dei detrattori. I primi hanno dalla loro parte alcune frecce. La detassazione del 50% degli utili reinvestiti dalle imprese nell’acquisto di macchinari certamente aiuterà il rilancio di quelle realtà produttive sane che subiscono la crisi, ma sono pronte al rimbalzo, non appena la ripresa si materializzerà. Nello stesso tempo sostiene la domanda di una parte rilevante della nostra industria, quella impegnata nel produrre beni strumentali per le altre imprese. Anche il sostegno all’occupazione, tramite incentivi alle aziende che desiderano reintegrare i lavoratori in cassa integrazione o a questi ultimi che decidono di aprire una attività in proprio, ci sembra ben diretto. Altre misure – piccole, ma significative -, come le azioni contro la riproposizione, sotto mentite spoglie, della commissione di massimo scoperto da parte delle banche o un sostegno alla competitività nel settore dell’energia per abbassarne il costo per gli utenti finali, giustificano alcuni commenti entusiastici.
Tuttavia anche i detrattori hanno ragioni da vendere. Manca anche in questa manovra un vero spirito riformista, capace di sanare i mali di lungo periodo dell’economia italiana. E inoltre ancora una volta sembrano mancare completamente quelle azioni di sostegno ai giovani, i grandi sconfitti di questa crisi, ai quali continua a non essere garantita alcuna forma di sostegno al reddito, drammaticamente attuale ora che i loro lavori precari vengono tagliati in massa dalla recessione.
Una cosa che certamente non si può rimproverare al Governo è la mancanza di coerenza. Sin dall’inizio, Tremonti e altri autorevoli ministri hanno sostenuto che la crisi non poteva essere il tempo delle riforme strutturali, perché queste aumentano l’incertezza e quindi spingono a mantenere comportamenti prudenti, con il rischio di alzare la propensione al risparmio precauzionale e deprimere ancora di più i consumi. Inoltre i conti pubblici italiani hanno bisogno di stabilità e il Governo sta facendo di tutto per tenerli sotto controllo, anche se, controllando solo la differenza tra entrate e uscite dalle casse dello Stato, cioè il deficit in valore assoluto, senza considerare che quello che conta è il suo rapporto con il Pil, il quale è in caduta libera, rischia di indirizzare male i suoi sforzi di risanamento. Infatti, anche se il numeratore del rapporto deficit/Pil dovesse rimanere costante, il calo senza precedenti del denominatore, che si sta verificando quest’anno, vanifica ogni sforzo e fa esplodere il rapporto ben oltre il 3% imposto dai vincoli europei.
Crediamo che la strategia del Governo si rivelerà azzeccata solo a una condizione: che la crisi non si attardi e non si aggravi ulteriormente. Questo dipende molto poco dall’Italia e dal suo governo e moltissimo dagli Usa e dai loro rapporti con i grandi Paesi in via di sviluppo. Se i timidi segnali di ripresa che si sono visti ultimamente si trasformeranno in qualcosa di più convinto nei prossimi mesi, allora potremmo tirare un sospiro di sollievo.
Ma a quel punto tutti gli alibi saranno caduti. Senza le riforme strutturali (pensioni, ammortizzatori sociali, servizi pubblici locali, università e ricerca, ecc.) l’Italia è destinata a riprendere il suo cammino di crescita asfittico, accontentandosi del più zero virgola qualcosa di crescita annua quando gli altri vanno a ben altra velocità. E con quel ritmo di crescita, recuperare il reddito distrutto nel 2009 richiederà tra i 5 e i 10 anni. Significa perdere una generazione intera. Non ce lo possiamo permettere. Speriamo che il Governo lo abbia ben presente e si stia, dietro le quinte, attrezzando per fronteggiare al meglio questa sfida, non appena, come si dice a Napoli, sarà passata la nottata. La manovra estiva del Governo, varata lo scorso fine settimana, è di quelle destinate per forza di cose a dividere i commentatori, proprio come il vecchio bicchiere. Mezzo pieno o mezzo vuoto? Misure utili contro la crisi o ancora un inutile prendere tempo?Non vorremmo entrare nel club degli entusiasti convinti o in quello dei detrattori. I primi hanno dalla loro parte alcune frecce. La detassazione del 50% degli utili reinvestiti dalle imprese nell’acquisto di macchinari certamente aiuterà il rilancio di quelle realtà produttive sane che subiscono la crisi, ma sono pronte al rimbalzo, non appena la ripresa si materializzerà. Nello stesso tempo sostiene la domanda di una parte rilevante della nostra industria, quella impegnata nel produrre beni strumentali per le altre imprese. Anche il sostegno all’occupazione, tramite incentivi alle aziende che desiderano reintegrare i lavoratori in cassa integrazione o a questi ultimi che decidono di aprire una attività in proprio, ci sembra ben diretto. Altre misure – piccole, ma significative -, come le azioni contro la riproposizione, sotto mentite spoglie, della commissione di massimo scoperto da parte delle banche o un sostegno alla competitività nel settore dell’energia per abbassarne il costo per gli utenti finali, giustificano alcuni commenti entusiastici.Tuttavia anche i detrattori hanno ragioni da vendere. Manca anche in questa manovra un vero spirito riformista, capace di sanare i mali di lungo periodo dell’economia italiana. E inoltre ancora una volta sembrano mancare completamente quelle azioni di sostegno ai giovani, i grandi sconfitti di questa crisi, ai quali continua a non essere garantita alcuna forma di sostegno al reddito, drammaticamente attuale ora che i loro lavori precari vengono tagliati in massa dalla recessione.Una cosa che certamente non si può rimproverare al Governo è la mancanza di coerenza. Sin dall’inizio, Tremonti e altri autorevoli ministri hanno sostenuto che la crisi non poteva essere il tempo delle riforme strutturali, perché queste aumentano l’incertezza e quindi spingono a mantenere comportamenti prudenti, con il rischio di alzare la propensione al risparmio precauzionale e deprimere ancora di più i consumi. Inoltre i conti pubblici italiani hanno bisogno di stabilità e il Governo sta facendo di tutto per tenerli sotto controllo, anche se, controllando solo la differenza tra entrate e uscite dalle casse dello Stato, cioè il deficit in valore assoluto, senza considerare che quello che conta è il suo rapporto con il Pil, il quale è in caduta libera, rischia di indirizzare male i suoi sforzi di risanamento. Infatti, anche se il numeratore del rapporto deficit/Pil dovesse rimanere costante, il calo senza precedenti del denominatore, che si sta verificando quest’anno, vanifica ogni sforzo e fa esplodere il rapporto ben oltre il 3% imposto dai vincoli europei.Crediamo che la strategia del Governo si rivelerà azzeccata solo a una condizione: che la crisi non si attardi e non si aggravi ulteriormente. Questo dipende molto poco dall’Italia e dal suo governo e moltissimo dagli Usa e dai loro rapporti con i grandi Paesi in via di sviluppo. Se i timidi segnali di ripresa che si sono visti ultimamente si trasformeranno in qualcosa di più convinto nei prossimi mesi, allora potremmo tirare un sospiro di sollievo.Ma a quel punto tutti gli alibi saranno caduti. Senza le riforme strutturali (pensioni, ammortizzatori sociali, servizi pubblici locali, università e ricerca, ecc.) l’Italia è destinata a riprendere il suo cammino di crescita asfittico, accontentandosi del più zero virgola qualcosa di crescita annua quando gli altri vanno a ben altra velocità. E con quel ritmo di crescita, recuperare il reddito distrutto nel 2009 richiederà tra i 5 e i 10 anni. Significa perdere una generazione intera. Non ce lo possiamo permettere. Speriamo che il Governo lo abbia ben presente e si stia, dietro le quinte, attrezzando per fronteggiare al meglio questa sfida, non appena, come si dice a Napoli, sarà passata la nottata.

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