Paolo Pezzana, presidente della Fio.psd, commenta la recente conferenza di Bruxelles
a cura di Riccardo BENOTTI
Redazione
«Solo su scala europea possiamo sperare di trovare vie efficaci di contrasto per un fenomeno che, come il resto della società, va complessificandosi, frammentandosi, globalizzandosi». È il commento di Paolo Pezzana, presidente della Fio.psd (Federazione degli organismi per le persone senza dimora), al termine della prima “Consensus conference” sulla Homelessness (Conferenza europea di consenso sulle persone senza dimora) che si è tenuta la scorsa settimana a Bruxelles.
Qual è il suo giudizio a conclusione dei lavori, ai quali ha preso parte la Fio.psd?
L’evento è stato certamente prezioso ed innovativo e fa ben sperare rispetto alle possibilità di arrivare davvero, in qualche tempo, ad un sistema europeo di linee guida comuni per il contrasto dell’homelessness. Il consenso finale che la giuria, al momento riunita a discutere, riuscirà a raggiungere dovrà infatti essere impegnativo per tutti noi. Personalmente, pur condividendo molte delle perplessità espresse dai colleghi nella conferenza circa l’effettività della volontà politica dei governi europei di riconoscere sul serio il diritto di tutti ad un alloggio adeguato, penso che questa conferenza sia stata una importante pietra miliare per la nostra attività di lobbying ed advocacy a favore dei più deboli: ci potremo riferire ad essa come ad un momento in cui tutti gli attori coinvolti si sono confrontati assumendo responsabilità e riconoscendosi reciprocamente. Si tratta di un punto di partenza, non di un arrivo.
Che sensibilità dimostra l’Europa rispetto al fenomeno delle persone senza dimora?
L’attenzione delle Istituzioni europee è certamente significativa. La lotta allla homelessness è stata presente tra le priorità sociali dell’Unione in tutti i cicli di programmazione politica dal 2000 al 2010 ed ha un posto anche nella costituenda strategia EU2020 per il prossimo decennio. Il Parlamento ha assunto posizioni forti sia mediante dichiarazioni scritte che rapporti. Il problema vero è che l’Europa non ha competenze dirette in questa materia che, lasciata in mano agli Stati Membri, non ha in questi anni fatto registrare progressi davvero significativi. È auspicabile che con la clausola sociale (art. 9) del nuovo Trattato di Lisbona, con le nuove e più ampie prerogative riconosciute al Parlamento e con un’azione più incisiva della Corte di Giustizia, si possa pervenire, da qui al 2020, a una maggiore “europeizzazione” della lotta alla homelessness e alla povertà più in generale.
È importante dotare gli Stati membri dell’Unione europea di un medesimo quadro legislativo e operativo di riferimento?
Sarebbe fondamentale ma, per lo meno sotto il profilo legislativo, è oggi purtroppo istituzionalmente impossibile. Mediante un’efficace metodo di coordinamento aperto fatto di linee guida, indicatori, monitoraggio serio e condiviso tra i diversi Paesi sarà però possibile raggiungere qualche risultato. Basta non ripetere gli errori del decennio scorso e investire davvero, non solo in parole ma in volontà politica, in questo ambito.
Come sta mutando la tipologia della persona senza dimora?
Si moltiplicano i profili e le difficoltà di “categorizzazione”, che non è un male in sé ma solo se non porta ad una vera centralità della persona nella presa in carico. Aumentano le presenze ai servizi per senza dimora di tutti coloro che sono scivolati o stanno scivolando dalla precarietà nella povertà, sino alla povertà estrema (giovani esclusi dal mercato del lavoro, anziani soli, famiglie numerose e senza redditi fissi, padri separati, madri sole con bambini, minoranze non tutelate, etc.). La crisi non aiuta in questo frangente e, pur non avendo dato luogo ad incrementi eclatanti delle presenze di homeless in strada e nei servizi, ha però innescato una dinamica di ulteriore precarizzazione e selezione sociale, che porterà ancora per i prossimi anni ad un flusso continuo e crescente in entrata nel mondo dell’homelessness. Se si considera che le politiche sociali, che dalla povertà rappresentano le vie di uscita, invece che essere potenziate vengono selvaggiamente tagliate e ridotte, dall’attuale governo italiano come da molti altri governi europei, il futuro non si presenta roseo. Del resto che il liberismo avrebbe prima o poi condotto qui lo sapevano tutti, sin dall’inizio…
Qual è la situazione in Italia?
Il fenomeno in Italia è consistente ed è stato sinora fronteggiato prevalentemente in maniera localistica grazie soprattutto all’intervento del Terzo settore che ha saputo moltiplicare con il proprio contributo attivo e responsabile le scarse risorse pubbliche dedicate alla lotta alla povertà estrema. Oggi questa situazione rischia di peggiorare, perché il pubblico, piuttosto che promuovere inclusione sociale per tutti come un diritto di civiltà, sembra ritirarsi nuovamente nelle trincee dell’assistenzialismo di retroguardia, occupandosi solo delle situazioni di emergenza e lasciando che chi deve essere aiutato si aiuti da sé. È purtroppo una tendenza bipartisan, anche se più presente in alcuni, che tuttavia conduce diretti allo sfascio. È da questo tipo di scelte che dipende il futuro della homelessness in questo Paese, non tanto e non solo dal numero di dormitori e di mense che saremo capaci, se lo saremo, di mantenere. «Solo su scala europea possiamo sperare di trovare vie efficaci di contrasto per un fenomeno che, come il resto della società, va complessificandosi, frammentandosi, globalizzandosi». È il commento di Paolo Pezzana, presidente della Fio.psd (Federazione degli organismi per le persone senza dimora), al termine della prima “Consensus conference” sulla Homelessness (Conferenza europea di consenso sulle persone senza dimora) che si è tenuta la scorsa settimana a Bruxelles.Qual è il suo giudizio a conclusione dei lavori, ai quali ha preso parte la Fio.psd?L’evento è stato certamente prezioso ed innovativo e fa ben sperare rispetto alle possibilità di arrivare davvero, in qualche tempo, ad un sistema europeo di linee guida comuni per il contrasto dell’homelessness. Il consenso finale che la giuria, al momento riunita a discutere, riuscirà a raggiungere dovrà infatti essere impegnativo per tutti noi. Personalmente, pur condividendo molte delle perplessità espresse dai colleghi nella conferenza circa l’effettività della volontà politica dei governi europei di riconoscere sul serio il diritto di tutti ad un alloggio adeguato, penso che questa conferenza sia stata una importante pietra miliare per la nostra attività di lobbying ed advocacy a favore dei più deboli: ci potremo riferire ad essa come ad un momento in cui tutti gli attori coinvolti si sono confrontati assumendo responsabilità e riconoscendosi reciprocamente. Si tratta di un punto di partenza, non di un arrivo.Che sensibilità dimostra l’Europa rispetto al fenomeno delle persone senza dimora?L’attenzione delle Istituzioni europee è certamente significativa. La lotta allla homelessness è stata presente tra le priorità sociali dell’Unione in tutti i cicli di programmazione politica dal 2000 al 2010 ed ha un posto anche nella costituenda strategia EU2020 per il prossimo decennio. Il Parlamento ha assunto posizioni forti sia mediante dichiarazioni scritte che rapporti. Il problema vero è che l’Europa non ha competenze dirette in questa materia che, lasciata in mano agli Stati Membri, non ha in questi anni fatto registrare progressi davvero significativi. È auspicabile che con la clausola sociale (art. 9) del nuovo Trattato di Lisbona, con le nuove e più ampie prerogative riconosciute al Parlamento e con un’azione più incisiva della Corte di Giustizia, si possa pervenire, da qui al 2020, a una maggiore “europeizzazione” della lotta alla homelessness e alla povertà più in generale.È importante dotare gli Stati membri dell’Unione europea di un medesimo quadro legislativo e operativo di riferimento?Sarebbe fondamentale ma, per lo meno sotto il profilo legislativo, è oggi purtroppo istituzionalmente impossibile. Mediante un’efficace metodo di coordinamento aperto fatto di linee guida, indicatori, monitoraggio serio e condiviso tra i diversi Paesi sarà però possibile raggiungere qualche risultato. Basta non ripetere gli errori del decennio scorso e investire davvero, non solo in parole ma in volontà politica, in questo ambito.Come sta mutando la tipologia della persona senza dimora?Si moltiplicano i profili e le difficoltà di “categorizzazione”, che non è un male in sé ma solo se non porta ad una vera centralità della persona nella presa in carico. Aumentano le presenze ai servizi per senza dimora di tutti coloro che sono scivolati o stanno scivolando dalla precarietà nella povertà, sino alla povertà estrema (giovani esclusi dal mercato del lavoro, anziani soli, famiglie numerose e senza redditi fissi, padri separati, madri sole con bambini, minoranze non tutelate, etc.). La crisi non aiuta in questo frangente e, pur non avendo dato luogo ad incrementi eclatanti delle presenze di homeless in strada e nei servizi, ha però innescato una dinamica di ulteriore precarizzazione e selezione sociale, che porterà ancora per i prossimi anni ad un flusso continuo e crescente in entrata nel mondo dell’homelessness. Se si considera che le politiche sociali, che dalla povertà rappresentano le vie di uscita, invece che essere potenziate vengono selvaggiamente tagliate e ridotte, dall’attuale governo italiano come da molti altri governi europei, il futuro non si presenta roseo. Del resto che il liberismo avrebbe prima o poi condotto qui lo sapevano tutti, sin dall’inizio…Qual è la situazione in Italia?Il fenomeno in Italia è consistente ed è stato sinora fronteggiato prevalentemente in maniera localistica grazie soprattutto all’intervento del Terzo settore che ha saputo moltiplicare con il proprio contributo attivo e responsabile le scarse risorse pubbliche dedicate alla lotta alla povertà estrema. Oggi questa situazione rischia di peggiorare, perché il pubblico, piuttosto che promuovere inclusione sociale per tutti come un diritto di civiltà, sembra ritirarsi nuovamente nelle trincee dell’assistenzialismo di retroguardia, occupandosi solo delle situazioni di emergenza e lasciando che chi deve essere aiutato si aiuti da sé. È purtroppo una tendenza bipartisan, anche se più presente in alcuni, che tuttavia conduce diretti allo sfascio. È da questo tipo di scelte che dipende il futuro della homelessness in questo Paese, non tanto e non solo dal numero di dormitori e di mense che saremo capaci, se lo saremo, di mantenere.