Il ricordo dei familiari del vescovo assassinato

di Luca FRIGERIO
Redazione

Un giovane snello, dallo sguardo aperto, il volto sempre sorridente… Sandro e Liliana, fratello e cognata di monsignor Luigi Padovese, sfogliano album e mazzi di fotografie nella loro casa vicina alla parrocchia della Santissima Trinità, a Milano: per ognuna c’è un ricordo, un breve commento, un fatto bello di cui sono stati testimoni o che hanno vissuto insieme.
«Qui è durante il noviziato presso i Cappuccini, a Lovere, a metà degli anni Sessanta», spiega Sandro, porgendo un’istantanea in bianco e nero, un po’ mossa, ma ancora emozionante, padre e figlio con la stessa montatura degli occhiali, la madre affettuosamente fiera… Dopo una prima esperienza al Pime, Luigi aveva voluto vestire il saio, «per seguire le orme di San Francesco», aveva detto ai genitori. E davvero la sua passione per la terra del Medio Oriente, il suo interesse di storico, di archeologo, di sacerdote per i luoghi delle origini cristiane, la sua determinazione nel dialogo con il mondo musulmano ricordano, oggi più che mai, quello stesso slancio che fu già del Poverello d’Assisi. Poi gli studi, lunghi e intensi, in Italia e all’estero. Ma sul viso di Padovese, nelle foto di quegli anni, sempre lo stesso sorriso, contagioso, schietto.
In Germania, per esempio, si era fatto tanti amici: a Colonia come a Bamberga era di casa, e vi era stato ancora recentemente, per le cresime. «Quando Luigi incontrò Benedetto XVI – racconta il fratello -, Papa Ratzinger gli disse raggiante: “Finalmente posso parlare in tedesco!”». Sì, era un uomo di fede e di studio, monsignor Padovese. Dalla libreria Sandro prende un cofanetto contenente tre ponderosi volumi: un’opera monumentale, completa, sulla figura di San Paolo («Una delle ultime realizzate da mio fratello», spiega). E proprio di una città turca, Tarso, era originario l’apostolo delle genti…
«In questi giorni abbiamo letto tante cose inesatte, tante sciocchezze…», dice a un tratto la signora Liliana, scuotendo amareggiata la testa, mentre fissa una recente immagine del cognato che suona una pianola in chiesa, circondato da un nugolo di bambini. «La verità è che Luigi, là, a Iskenderun, era davvero amato da tutti. Tutti gli volevano bene e lo rispettavano. Lui, che era anche il responsabile della Caritas turca, per esempio, nel cortile di casa sua faceva preparare ogni giorno il pranzo per una cinquantina di famiglie povere: pasti che poi recapitava direttamente alle loro case, in modo che nessuno si sentisse umiliato o in obbligo verso di lui!».
Ma, allora, azzardiamo, perché questa fine orribile per mano del suo stesso autista? «È incomprensibile», rispondono a una voce il fratello e la cognata. «Murat, il giovane che lo ha ucciso, noi l’abbiamo conosciuto bene. Ancora di recente è stato ospite qui, nella nostra casa, quando a causa della nube del vulcano islandese ha guidato fino a Milano, per accompagnare Luigi in Italia. Era una persona di massima fiducia, buona e onesta. Il fatto è che, negli ultimi due mesi, questo ragazzo era caduto in una forte depressione, soprattutto perché si avvicinava il momento in cui doveva partire per il servizio militare: e la cosa lo preoccupava molto perché lui era l’unico sostegno della sua famiglia… Insomma, non può che essere stato un raptus di follia: è l’unica spiegazione».
Dunque, insistiamo, monsignor Padovese non vi era sembrato preoccupato le ultime volte che vi siete sentiti? «Al contrario, era sempre contento, sempre felice di vivere laggiù, in Turchia, in quella terra e fra quella gente». E il sorriso del vescovo Luigi torna a illuminarci da una fotografia in cima al mucchio… Un giovane snello, dallo sguardo aperto, il volto sempre sorridente… Sandro e Liliana, fratello e cognata di monsignor Luigi Padovese, sfogliano album e mazzi di fotografie nella loro casa vicina alla parrocchia della Santissima Trinità, a Milano: per ognuna c’è un ricordo, un breve commento, un fatto bello di cui sono stati testimoni o che hanno vissuto insieme.«Qui è durante il noviziato presso i Cappuccini, a Lovere, a metà degli anni Sessanta», spiega Sandro, porgendo un’istantanea in bianco e nero, un po’ mossa, ma ancora emozionante, padre e figlio con la stessa montatura degli occhiali, la madre affettuosamente fiera… Dopo una prima esperienza al Pime, Luigi aveva voluto vestire il saio, «per seguire le orme di San Francesco», aveva detto ai genitori. E davvero la sua passione per la terra del Medio Oriente, il suo interesse di storico, di archeologo, di sacerdote per i luoghi delle origini cristiane, la sua determinazione nel dialogo con il mondo musulmano ricordano, oggi più che mai, quello stesso slancio che fu già del Poverello d’Assisi. Poi gli studi, lunghi e intensi, in Italia e all’estero. Ma sul viso di Padovese, nelle foto di quegli anni, sempre lo stesso sorriso, contagioso, schietto.In Germania, per esempio, si era fatto tanti amici: a Colonia come a Bamberga era di casa, e vi era stato ancora recentemente, per le cresime. «Quando Luigi incontrò Benedetto XVI – racconta il fratello -, Papa Ratzinger gli disse raggiante: “Finalmente posso parlare in tedesco!”». Sì, era un uomo di fede e di studio, monsignor Padovese. Dalla libreria Sandro prende un cofanetto contenente tre ponderosi volumi: un’opera monumentale, completa, sulla figura di San Paolo («Una delle ultime realizzate da mio fratello», spiega). E proprio di una città turca, Tarso, era originario l’apostolo delle genti…«In questi giorni abbiamo letto tante cose inesatte, tante sciocchezze…», dice a un tratto la signora Liliana, scuotendo amareggiata la testa, mentre fissa una recente immagine del cognato che suona una pianola in chiesa, circondato da un nugolo di bambini. «La verità è che Luigi, là, a Iskenderun, era davvero amato da tutti. Tutti gli volevano bene e lo rispettavano. Lui, che era anche il responsabile della Caritas turca, per esempio, nel cortile di casa sua faceva preparare ogni giorno il pranzo per una cinquantina di famiglie povere: pasti che poi recapitava direttamente alle loro case, in modo che nessuno si sentisse umiliato o in obbligo verso di lui!».Ma, allora, azzardiamo, perché questa fine orribile per mano del suo stesso autista? «È incomprensibile», rispondono a una voce il fratello e la cognata. «Murat, il giovane che lo ha ucciso, noi l’abbiamo conosciuto bene. Ancora di recente è stato ospite qui, nella nostra casa, quando a causa della nube del vulcano islandese ha guidato fino a Milano, per accompagnare Luigi in Italia. Era una persona di massima fiducia, buona e onesta. Il fatto è che, negli ultimi due mesi, questo ragazzo era caduto in una forte depressione, soprattutto perché si avvicinava il momento in cui doveva partire per il servizio militare: e la cosa lo preoccupava molto perché lui era l’unico sostegno della sua famiglia… Insomma, non può che essere stato un raptus di follia: è l’unica spiegazione».Dunque, insistiamo, monsignor Padovese non vi era sembrato preoccupato le ultime volte che vi siete sentiti? «Al contrario, era sempre contento, sempre felice di vivere laggiù, in Turchia, in quella terra e fra quella gente». E il sorriso del vescovo Luigi torna a illuminarci da una fotografia in cima al mucchio… – – Immagini di una vita (photogallery)

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