di Claudio TRACANNA Direttore di "Vola" (L'Aquila)
Redazione
Il 6 aprile 2009 è una data che gli aquilani non potranno dimenticare mai. Spesso ho la sensazione che in realtà un anno non sia passato, perché la ferita provocata dal terremoto è profonda e fa ancora male. Come potrebbe non essere così – dico spesso tra me – se il “morto” è ancora in casa? Mi riferisco al centro storico della città. Vedere quello che per noi aquilani era il cuore pulsante di ogni attività, giacere lì, nel buio più assoluto, in un silenzio che difficilmente si riesce a sopportare, per me è come vivere con un morto in casa. Girando per la città, ti viene quasi voglia di non guardare a quel “morto”, vorresti ignorarlo per quanto dolore ancora provoca il solo vederlo così e per quanti ricordi evoca in ognuno di noi.
Ma un anno è passato e ci prepariamo a vivere il primo anniversario del terremoto. Anniversari come quello di un sisma così devastante non possono che essere dolorosi. Come non ricordare quei figli, quegli amici, quelle mamme, quei papà e quei giovani studenti che hanno trovato la morte sotto le macerie nella notte del 6 aprile?
Il 6 aprile 2010 sarà dunque un giorno di dolore, in cui ogni aquilano ripercorrerà con la mente e con il cuore quelle estenuanti ore e quei tristi giorni, in cui ogni sicurezza è svanita e ogni certezza è crollata. Proprio quei giorni, mi è tornata spesso alla mente le pagina evangelica in cui Gesù dice che il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo.
Ora, a dire il vero, tanti hanno dove posare il capo. Una casa c’è per molti, quasi tutti. Se però ci sono le case, manca invece la città, la nostra bella città, che non è e non può essere fatta solo di case. La città è il luogo che permette ai suoi abitanti di incontrarsi, di passeggiare, di socializzare e anche di pregare. Tutto questo all’Aquila non c’è perché il terremoto è ancora con noi.
È con noi nel buio del centro storico, è con noi nel silenzio dei quartieri fino a un anno fa popolatissimi, è con noi nella difficoltà di ritrovare un volto amico, è con noi nel non sapere dove sta un ufficio o il negozio di fiducia, è nel non avere una chiesa dove pregare o nell’essere privati della certezza di un posto in ospedale. Ma il terremoto è soprattutto nell’animo degli aquilani: è presente in quella sfiducia che prende ogniqualvolta bisogna iniziare qualcosa; è presente in quel preside che fa evacuare la sua scuola per una scossa che qualche anno fa nessuno avrebbe sentito e temuto; è presente in quel centro commerciale dove non si riesce nemmeno a camminare per il gran numero di adolescenti che non sanno più dove incontrarsi, visto che non ci sono più i loro amati “portici”.
Il terremoto continua poi a persistere nella sfiducia dei commercianti e nella rabbia degli ambulanti che non sanno ancora dove poter riaprire il mercato: lo storico mercato di piazza Duomo. Il terremoto insomma c’è e si fa sentire ancora tanto. Ora c’è, ma sicuramente non ci sarà più.
Non ci sarà se quelle “carriole”, che ormai sono conosciute in tutta Italia, rappresentano la voglia di rinascere degli aquilani che non attendono e non si aspettano la manna dal cielo, ma che desiderano tornare ad essere i protagonisti dell’Aquila del futuro. Il terremoto non ci sarà più se il bene comune sarà l’unico obiettivo condiviso dalle istituzioni, dai cittadini e dalla Chiesa. Il terremoto finirà se continuerà l’affetto e la solidarietà dell’Italia intera nel durissimo cammino della ricostruzione.
E anche la felice coincidenza con l’ottava di Pasqua, dice a noi aquilani che, anche se il terremoto è ancora presente, non avrà affatto l’ultima parola. Il terremoto, infatti, c’è stato un anno fa nella settimana di Passione e il suo primo anniversario cade nella settimana di Resurrezione. Forse un teologo bizzarro potrebbe anche definirlo un “terremoto pasquale”, ma questa coincidenza aiuterà tutti noi aquilani, nonostante le lacrime, ad alzare gli occhi a quel Cielo dove nessuno più potrà far piangere così tanto, nemmeno un terremoto.
Dunque il terremoto non ci sarà più. E di questo noi cristiani dell’Aquila ne siamo certi. Dice infatti il profeta Ezechiele: «Vi farò riabitare le vostre città e le vostre rovine saranno ricostruite». Il Signore manterrà questa promessa anche per noi! Il 6 aprile 2009 è una data che gli aquilani non potranno dimenticare mai. Spesso ho la sensazione che in realtà un anno non sia passato, perché la ferita provocata dal terremoto è profonda e fa ancora male. Come potrebbe non essere così – dico spesso tra me – se il “morto” è ancora in casa? Mi riferisco al centro storico della città. Vedere quello che per noi aquilani era il cuore pulsante di ogni attività, giacere lì, nel buio più assoluto, in un silenzio che difficilmente si riesce a sopportare, per me è come vivere con un morto in casa. Girando per la città, ti viene quasi voglia di non guardare a quel “morto”, vorresti ignorarlo per quanto dolore ancora provoca il solo vederlo così e per quanti ricordi evoca in ognuno di noi.Ma un anno è passato e ci prepariamo a vivere il primo anniversario del terremoto. Anniversari come quello di un sisma così devastante non possono che essere dolorosi. Come non ricordare quei figli, quegli amici, quelle mamme, quei papà e quei giovani studenti che hanno trovato la morte sotto le macerie nella notte del 6 aprile?Il 6 aprile 2010 sarà dunque un giorno di dolore, in cui ogni aquilano ripercorrerà con la mente e con il cuore quelle estenuanti ore e quei tristi giorni, in cui ogni sicurezza è svanita e ogni certezza è crollata. Proprio quei giorni, mi è tornata spesso alla mente le pagina evangelica in cui Gesù dice che il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo.Ora, a dire il vero, tanti hanno dove posare il capo. Una casa c’è per molti, quasi tutti. Se però ci sono le case, manca invece la città, la nostra bella città, che non è e non può essere fatta solo di case. La città è il luogo che permette ai suoi abitanti di incontrarsi, di passeggiare, di socializzare e anche di pregare. Tutto questo all’Aquila non c’è perché il terremoto è ancora con noi.È con noi nel buio del centro storico, è con noi nel silenzio dei quartieri fino a un anno fa popolatissimi, è con noi nella difficoltà di ritrovare un volto amico, è con noi nel non sapere dove sta un ufficio o il negozio di fiducia, è nel non avere una chiesa dove pregare o nell’essere privati della certezza di un posto in ospedale. Ma il terremoto è soprattutto nell’animo degli aquilani: è presente in quella sfiducia che prende ogniqualvolta bisogna iniziare qualcosa; è presente in quel preside che fa evacuare la sua scuola per una scossa che qualche anno fa nessuno avrebbe sentito e temuto; è presente in quel centro commerciale dove non si riesce nemmeno a camminare per il gran numero di adolescenti che non sanno più dove incontrarsi, visto che non ci sono più i loro amati “portici”.Il terremoto continua poi a persistere nella sfiducia dei commercianti e nella rabbia degli ambulanti che non sanno ancora dove poter riaprire il mercato: lo storico mercato di piazza Duomo. Il terremoto insomma c’è e si fa sentire ancora tanto. Ora c’è, ma sicuramente non ci sarà più.Non ci sarà se quelle “carriole”, che ormai sono conosciute in tutta Italia, rappresentano la voglia di rinascere degli aquilani che non attendono e non si aspettano la manna dal cielo, ma che desiderano tornare ad essere i protagonisti dell’Aquila del futuro. Il terremoto non ci sarà più se il bene comune sarà l’unico obiettivo condiviso dalle istituzioni, dai cittadini e dalla Chiesa. Il terremoto finirà se continuerà l’affetto e la solidarietà dell’Italia intera nel durissimo cammino della ricostruzione.E anche la felice coincidenza con l’ottava di Pasqua, dice a noi aquilani che, anche se il terremoto è ancora presente, non avrà affatto l’ultima parola. Il terremoto, infatti, c’è stato un anno fa nella settimana di Passione e il suo primo anniversario cade nella settimana di Resurrezione. Forse un teologo bizzarro potrebbe anche definirlo un “terremoto pasquale”, ma questa coincidenza aiuterà tutti noi aquilani, nonostante le lacrime, ad alzare gli occhi a quel Cielo dove nessuno più potrà far piangere così tanto, nemmeno un terremoto.Dunque il terremoto non ci sarà più. E di questo noi cristiani dell’Aquila ne siamo certi. Dice infatti il profeta Ezechiele: «Vi farò riabitare le vostre città e le vostre rovine saranno ricostruite». Il Signore manterrà questa promessa anche per noi!