Il suo messaggio, dice il presidente della Regione, «ci imprime una spinta a lavorare tutti insieme con lo sguardo spalancato alla metafora dell'infinito»
di Roberto FORMIGONI Presidente Regione Lombardia
Redazione
L’ospitalità offertami mi consente di ringraziare pubblicamente Sua Eminenza, l’Arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, che domenica 31 gennaio mi ha fatto l’onore di accettare l’invito in occasione della benedizione della statua della “Madonnina”, posta alla sommità della seconda sede della Regione, che proprio in questi giorni è stata battezzata dai cittadini “Palazzo Lombardia”.
Il mio è un ringraziamento che vuole anche contribuire a restituire l’integralità a un messaggio così profondo, ricco e innovativo che la parzialità di tante sintesi giornalistiche ha deformato nei suoi contenuti più essenziali.
Tantissimi sono i motivi della mia riconoscenza: ne riprendo solo alcuni.
Innanzitutto avere riannodato i fili di una storia tutta ambrosiana e lombarda che esattamente 50 anni fa (il 4 aprile 1960) vedeva il cardinale Montini in cima al neonato grattacielo Pirelli affidare il vertice dell’ingegno umano e la propulsione di uno sviluppo economico che la società lombarda imprimeva a tutta la nazione alla stessa protezione, quella della Madonna, la cui figura – fino ad allora – svettava su quello che era il punto più alto della città, le guglie del nostro caro Duomo.
Un gesto – quindi – che racchiude un grande significato, in continuità con la grande tradizione ambrosiana, laica e insieme profondamente religiosa. Un gesto anche profondamente amico e paterno, per l’affetto con cui il Cardinale ci è stato vicino e ha guardato l’opera di tanti uomini e tante donne che hanno lavorato alacremente in questi mesi.
Come non riconoscere nelle parole offerteci uno sguardo all’operosità lombarda – di cui il nuovo palazzo regionale è certamente emblema – capace di interpretare e svelare gli ideali che hanno animato chi, come me, ha creduto in questo progetto e tutti coloro che lo hanno realizzato? Come non riconoscere il coraggio di avere valorizzato ogni scintilla di industriosità umana, di attaccamento al lavoro, di giusta ambizione nel volere plasmare la realtà con responsabilità e lungimiranza? In questo sforzo creativo è stata recuperata e riconosciuta tutta la nobiltà dell’azione politica, restituendola a quei legami di affinità con la parola “speranza”, quello slancio innato nel cuore dell’uomo a migliorare se stesso e la realtà che lo circonda.
Nel richiamo del nostro Arcivescovo ho ritrovato una profonda sintonia con un accento particolare che in questi anni ha accompagnato la nostra azione: l’amore per la bellezza, certamente un richiamo umanissimo, una cifra inconfondibile per lasciare traccia nella storia e nel cuore degli uomini di oggi.
A questo segno ci ispirammo per la selezione delle progettazioni del palazzo e questo stesso segno ha riconosciuto la magnanimità intellettuale del nostro Cardinale, che ha saputo cogliere nell’innovazione architettonica delle forme non solo la sapienza o la perizia di progettisti e costruttori, ma quel comune indomito desiderio di consacrare un lascito di bellezza per la nostra civiltà. Come allora non ritrovare nelle sue parole i tratti di una fede intraprendente, pienamente umana, non confinata nelle sacrestie, ma portata nel cuore pulsante dell’operosità lombarda, esposta – senza paure o falsi complessi di minorità – alle sfide del modernità?
Sempre mi sono sentito interpellato dalla testimonianza dell’Arcivescovo. Ancora di più e nuovamente in questa occasione, quando ci ha richiamato alla dignità delle istituzioni – con l’utilizzo di un temine alto come «sacre» – in un tempo in cui c’è bisogno che la gente abbia fiducia nella politica e in chi ogni giorno è chiamato a svolgerla e a rispondere del suo operato pubblico. «Istituzioni che sono chiamate non solo a servire la società, ma anche a rappresentarne l’importanza e la sacralità»: cosa sarebbe questa sacralità della società se non l’altro nome – più semplice – della sussidiarietà? Un metodo del lavoro di ogni giorno, un principio che ha fatto conoscere la Lombardia in Italia e nel mondo.
Con la nuova sede del governo regionale abbiamo creato una casa a servizio di tutti e costruita con l’apporto di tante provenienze diverse, secondo una tradizione caratterizzata da una radicale attitudine ad intercettare il nuovo, a contribuire al cambiamento, una tradizione forgiata da un’identità aperta, capace di dialogo, confronto e arricchimento reciproco, realizzato nei fatti, prima ancora che nei proclami.
Se dai frutti si riconosce l’albero, così il pregio del nostro lavoro si vedrà nel tempo e nella pratica quotidiana di coloro che vi lavoreranno per il bene comune.
Il messaggio del cardinale Tettamanzi all’intera comunità lombarda e italiana è stato trasparente quanto il cristallo che avvolge il Palazzo Lombardia. Soprattutto ci imprime una spinta irrefrenabile a lavorare tutti insieme con lo sguardo, la mente, la volontà sempre spalancata a quella metafora dell’infinito che il cielo sopra di noi rappresenta: «Il cielo, cui questo edificio potentemente anela, smisurata calamita degli sguardi e delle speranze». L’ospitalità offertami mi consente di ringraziare pubblicamente Sua Eminenza, l’Arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, che domenica 31 gennaio mi ha fatto l’onore di accettare l’invito in occasione della benedizione della statua della “Madonnina”, posta alla sommità della seconda sede della Regione, che proprio in questi giorni è stata battezzata dai cittadini “Palazzo Lombardia”.Il mio è un ringraziamento che vuole anche contribuire a restituire l’integralità a un messaggio così profondo, ricco e innovativo che la parzialità di tante sintesi giornalistiche ha deformato nei suoi contenuti più essenziali.Tantissimi sono i motivi della mia riconoscenza: ne riprendo solo alcuni.Innanzitutto avere riannodato i fili di una storia tutta ambrosiana e lombarda che esattamente 50 anni fa (il 4 aprile 1960) vedeva il cardinale Montini in cima al neonato grattacielo Pirelli affidare il vertice dell’ingegno umano e la propulsione di uno sviluppo economico che la società lombarda imprimeva a tutta la nazione alla stessa protezione, quella della Madonna, la cui figura – fino ad allora – svettava su quello che era il punto più alto della città, le guglie del nostro caro Duomo.Un gesto – quindi – che racchiude un grande significato, in continuità con la grande tradizione ambrosiana, laica e insieme profondamente religiosa. Un gesto anche profondamente amico e paterno, per l’affetto con cui il Cardinale ci è stato vicino e ha guardato l’opera di tanti uomini e tante donne che hanno lavorato alacremente in questi mesi.Come non riconoscere nelle parole offerteci uno sguardo all’operosità lombarda – di cui il nuovo palazzo regionale è certamente emblema – capace di interpretare e svelare gli ideali che hanno animato chi, come me, ha creduto in questo progetto e tutti coloro che lo hanno realizzato? Come non riconoscere il coraggio di avere valorizzato ogni scintilla di industriosità umana, di attaccamento al lavoro, di giusta ambizione nel volere plasmare la realtà con responsabilità e lungimiranza? In questo sforzo creativo è stata recuperata e riconosciuta tutta la nobiltà dell’azione politica, restituendola a quei legami di affinità con la parola “speranza”, quello slancio innato nel cuore dell’uomo a migliorare se stesso e la realtà che lo circonda.Nel richiamo del nostro Arcivescovo ho ritrovato una profonda sintonia con un accento particolare che in questi anni ha accompagnato la nostra azione: l’amore per la bellezza, certamente un richiamo umanissimo, una cifra inconfondibile per lasciare traccia nella storia e nel cuore degli uomini di oggi.A questo segno ci ispirammo per la selezione delle progettazioni del palazzo e questo stesso segno ha riconosciuto la magnanimità intellettuale del nostro Cardinale, che ha saputo cogliere nell’innovazione architettonica delle forme non solo la sapienza o la perizia di progettisti e costruttori, ma quel comune indomito desiderio di consacrare un lascito di bellezza per la nostra civiltà. Come allora non ritrovare nelle sue parole i tratti di una fede intraprendente, pienamente umana, non confinata nelle sacrestie, ma portata nel cuore pulsante dell’operosità lombarda, esposta – senza paure o falsi complessi di minorità – alle sfide del modernità?Sempre mi sono sentito interpellato dalla testimonianza dell’Arcivescovo. Ancora di più e nuovamente in questa occasione, quando ci ha richiamato alla dignità delle istituzioni – con l’utilizzo di un temine alto come «sacre» – in un tempo in cui c’è bisogno che la gente abbia fiducia nella politica e in chi ogni giorno è chiamato a svolgerla e a rispondere del suo operato pubblico. «Istituzioni che sono chiamate non solo a servire la società, ma anche a rappresentarne l’importanza e la sacralità»: cosa sarebbe questa sacralità della società se non l’altro nome – più semplice – della sussidiarietà? Un metodo del lavoro di ogni giorno, un principio che ha fatto conoscere la Lombardia in Italia e nel mondo.Con la nuova sede del governo regionale abbiamo creato una casa a servizio di tutti e costruita con l’apporto di tante provenienze diverse, secondo una tradizione caratterizzata da una radicale attitudine ad intercettare il nuovo, a contribuire al cambiamento, una tradizione forgiata da un’identità aperta, capace di dialogo, confronto e arricchimento reciproco, realizzato nei fatti, prima ancora che nei proclami.Se dai frutti si riconosce l’albero, così il pregio del nostro lavoro si vedrà nel tempo e nella pratica quotidiana di coloro che vi lavoreranno per il bene comune.Il messaggio del cardinale Tettamanzi all’intera comunità lombarda e italiana è stato trasparente quanto il cristallo che avvolge il Palazzo Lombardia. Soprattutto ci imprime una spinta irrefrenabile a lavorare tutti insieme con lo sguardo, la mente, la volontà sempre spalancata a quella metafora dell’infinito che il cielo sopra di noi rappresenta: «Il cielo, cui questo edificio potentemente anela, smisurata calamita degli sguardi e delle speranze».