Fuggono dal proprio Paese perché perseguitati ingiustamente� per la�religione, il colore della pelle o solo per aver difeso i diritti dei più deboli. Oggi in Italia sono circa 47 mila e nel 2009 sono state presentate 17.603 nuove domande. In�occasione della Giornata mondiale parla Luca Bettinelli (Caritas Ambrosiana) -

di Cristina CONTI
Redazione

Vivere da rifugiato in Italia. Una situazione oggi molto presente, non solo nelle grandi città, ma anche in quelle di dimensioni più contenute. «Le difficoltà che i rifugiati affrontano sono legate soprattutto all’accoglienza», spiega Luca Bettinelli, dell’area stranieri della Caritas Ambrosiana. Problema che durante il periodo estivo tende a diminuire perché molti di loro si trasferiscono nelle regioni meridionali e di dedicano al lavoro agricolo nei campi: «La vera criticità è a settembre, quando tutti ritornano a Milano in cerca di un’occupazione e di un posto dove dormire. Una volta, poi, erano soprattutto le grandi metropoli, come Milano e Roma, a ospitare i rifugiati, mentre ora sono presenti anche in città più piccole, come per esempio Bergamo», aggiunge Bettinelli.
Fuggire dal proprio Paese, lasciare la propria casa e i propri amici perché perseguitati ingiustamente a causa della propria religione, del colore della pelle o solo per aver difeso i diritti dei più deboli. I rifugiati oggi in Italia sono circa 47 mila e nel corso del 2009 sono state presentate 17.603 nuove domande. Una storia drammatica, comune a tutti i rifugiati politici che arrivano ogni giorno sulle coste italiane.
Le procedure per ottenere il riconoscimento, poi, sono davvero lunghe. Prima la presentazione della domanda alla frontiera, quando si arriva in Italia, oppure presso una questura o un commissariato. Dopo che la domanda è verbalizzata, inizia l’attesa. Un periodo che si può trascorrere in luoghi diversi. Alcuni rifugiati vengono mandati nel Centro di espulsione, dove possono rimanere per 35 giorni, altri al Cara (Centro accoglienza per richiedenti asilo), altri ancora allo Sprar (una struttura di sistemazione e protezione temporanea), dove si può risiedere fino a un massimo di 6 mesi. Nelle grandi città, come Milano e Roma, poi, ci sono altre possibili sistemazioni in strutture previste dall’accordo siglato tra le città metropolitane e il Ministero dell’Interno: luoghi in cui è possibile rimanere per 10 mesi. Molti, però, sono coloro a cui viene detto di rimanere sul territorio senza una collocazione precisa e che devono trovarsi un alloggio per conto proprio. «Una delle caratteristiche principali di questo impianto legislativo è che, comunque, le strutture sono finalizzate ad accogliere fino al riconoscimento dello status», precisa Bettinelli.
Il giorno in cui finalmente si viene a sapere che la domanda di asilo è stata accettata è il più felice, ma al contempo anche il più critico. Per la prima volta ci si scontra con i problemi economici, sociali e culturali del Paese in cui si è scelto di vivere. I rifugiati politici devono organizzarsi da soli, trovarsi una casa, cercarsi un lavoro remunerato: un percorso molto lungo, con tutti i limiti che può comportare. «Alcune volte, infatti, perché la domanda sia accettata ci vuole pochissimo tempo, anche solo 15 giorni. E questo significa trovarsi improvvisamente allo sbaraglio – commenta Bettinelli -. Senza conoscere la lingua e le principali regole della convivenza civile è davvero difficile trovare un impiego e potersi permettere un posto dove dormire». Così, se da un lato è auspicabile un rapido riconoscimento dello status di rifugiato, perché dà certezze sulla propria vita, talvolta è meglio però quando il processo è lungo, perché dà una maggiore possibilità di integrarsi nel nostro Paese. Vivere da rifugiato in Italia. Una situazione oggi molto presente, non solo nelle grandi città, ma anche in quelle di dimensioni più contenute. «Le difficoltà che i rifugiati affrontano sono legate soprattutto all’accoglienza», spiega Luca Bettinelli, dell’area stranieri della Caritas Ambrosiana. Problema che durante il periodo estivo tende a diminuire perché molti di loro si trasferiscono nelle regioni meridionali e di dedicano al lavoro agricolo nei campi: «La vera criticità è a settembre, quando tutti ritornano a Milano in cerca di un’occupazione e di un posto dove dormire. Una volta, poi, erano soprattutto le grandi metropoli, come Milano e Roma, a ospitare i rifugiati, mentre ora sono presenti anche in città più piccole, come per esempio Bergamo», aggiunge Bettinelli.Fuggire dal proprio Paese, lasciare la propria casa e i propri amici perché perseguitati ingiustamente a causa della propria religione, del colore della pelle o solo per aver difeso i diritti dei più deboli. I rifugiati oggi in Italia sono circa 47 mila e nel corso del 2009 sono state presentate 17.603 nuove domande. Una storia drammatica, comune a tutti i rifugiati politici che arrivano ogni giorno sulle coste italiane.Le procedure per ottenere il riconoscimento, poi, sono davvero lunghe. Prima la presentazione della domanda alla frontiera, quando si arriva in Italia, oppure presso una questura o un commissariato. Dopo che la domanda è verbalizzata, inizia l’attesa. Un periodo che si può trascorrere in luoghi diversi. Alcuni rifugiati vengono mandati nel Centro di espulsione, dove possono rimanere per 35 giorni, altri al Cara (Centro accoglienza per richiedenti asilo), altri ancora allo Sprar (una struttura di sistemazione e protezione temporanea), dove si può risiedere fino a un massimo di 6 mesi. Nelle grandi città, come Milano e Roma, poi, ci sono altre possibili sistemazioni in strutture previste dall’accordo siglato tra le città metropolitane e il Ministero dell’Interno: luoghi in cui è possibile rimanere per 10 mesi. Molti, però, sono coloro a cui viene detto di rimanere sul territorio senza una collocazione precisa e che devono trovarsi un alloggio per conto proprio. «Una delle caratteristiche principali di questo impianto legislativo è che, comunque, le strutture sono finalizzate ad accogliere fino al riconoscimento dello status», precisa Bettinelli.Il giorno in cui finalmente si viene a sapere che la domanda di asilo è stata accettata è il più felice, ma al contempo anche il più critico. Per la prima volta ci si scontra con i problemi economici, sociali e culturali del Paese in cui si è scelto di vivere. I rifugiati politici devono organizzarsi da soli, trovarsi una casa, cercarsi un lavoro remunerato: un percorso molto lungo, con tutti i limiti che può comportare. «Alcune volte, infatti, perché la domanda sia accettata ci vuole pochissimo tempo, anche solo 15 giorni. E questo significa trovarsi improvvisamente allo sbaraglio – commenta Bettinelli -. Senza conoscere la lingua e le principali regole della convivenza civile è davvero difficile trovare un impiego e potersi permettere un posto dove dormire». Così, se da un lato è auspicabile un rapido riconoscimento dello status di rifugiato, perché dà certezze sulla propria vita, talvolta è meglio però quando il processo è lungo, perché dà una maggiore possibilità di integrarsi nel nostro Paese. A Milano gestite sei realtà – La cooperativa Farsi Prossimo gestisce per conto del Comune di Milano cinque centri di accoglienza per rifugiati politici: via Novara (30 posti); via Giorgi (30), via Fulvio Testi (50), via Gorini (60) e via Sammartini (75). Quest’ultimo per donne sole o con bambini, mentre tutti gli altri solo per uomini. La Farsi Prossimo gestisce inoltre un centro diurno per rifugiati nella parrocchia di San Cristoforo. – Grangia, una casa per giovani in fuga da guerre – Nuz, da colonnello a custode – Pakistan e Camerun, storie di ordinaria violenza

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