In attesa della ratifica del Trattato, è soprattutto il Parlamento - tra dichiarazioni e proposte legislative - a procedere nella giusta direzione: una unità nella diversità da costruire gradualmente, ponendo al centro il bene dei cittadini


Redazione

29/04/2008

di Gianni BORSA

Alla fine dello scorso anno, raggiunto l’accordo sul nuovo Trattato di Lisbona e superato così lo “stallo istituzionale”, politici e commentatori di tutti i Paesi avevano sostenuto che l’Unione Europea avrebbe potuto finalmente dedicarsi ai problemi concreti dei cittadini, trasformandosi – quasi per incanto – nella «Europa dei risultati».

In realtà il Trattato è tuttora in corso di ratifica; se tutto procederà senza intoppi (l’unico interrogativo è rappresentato dal referendum che si terrà in Irlanda a giugno; gli altri Stati procederanno per via parlamentare), il nuovo quadro giuridico Ue entrerà in vigore col prossimo anno. Nel frattempo qualcosa sembra muoversi nella direzione di una Europa “feriale”, capace di intercettare le esigenze reali e le attese della gente e attivandosi per risposte adeguate.

Non tutto procede nella giusta direzione, ovviamente. Anche perché talune questioni sono estremamente complesse, perché i poteri dell’Ue sono ancora limitati e perché molti Governi credono al proverbio «chi fa da sé, fa per tre».

La saggezza popolare, a tutti tanto cara, non sembra però indicare la giusta strada di fronte alle sfide globali – economia, ambiente, energia, migrazioni, comunicazioni… – che richiedono semmai un surplus di cooperazione fra popoli e nazioni. Esattamente ciò che propone da mezzo secolo il processo di integrazione comunitaria.

Non tutto, si diceva, procede per il verso giusto, eppur l’Europa si muove. E tra le istituzioni, l’Europarlamento sembra aver colto il senso di questa “strategia” che comprende più collaborazione e maggiore concretezza.

Giusto per fare qualche esempio, nella sessione plenaria della prima metà di aprile l’Emiciclo ha avviato la procedura per una proposta legislativa che richieda alle emittenti tv pubbliche di sottotitolare tutti i programmi, per renderli accessibili alle persone non udenti o ipoudenti (si pensi agli anziani).

Ha adottato una dichiarazione che chiede agli Stati membri di affrontare seriamente il problema dei senza dimora, assicurando a tutti gli Europei un tetto entro il 2015: una operazione sociale gigantesca, ma non impossibile, avendone la volontà. Negli stessi giorni i deputati hanno appoggiato provvedimenti a favore delle piccole e medie imprese e si sono interrogati su come realizzare azioni comuni per la prevenzione e la cura del cancro.

Analoga concretezza ha caratterizzato la sessione del 21-24 aprile, dove fra l’altro si è trattato il tema della donazione di organi per i trapianti. Dovranno fare seguito vari provvedimenti, tutti nel segno di una accresciuta collaborazione “transfrontaliera” per restituire a una vita normale i 70 mila europei oggi in attesa di un intervento che li possa liberare da lunghe malattie e infinite sofferenze.

In aula è arrivata inoltre una relazione che, nel riconoscere il prezioso ruolo della società civile e delle comunità religiose nella lotta alla droga, sostiene l’urgenza di azioni congiunte sul versante della prevenzione e del recupero.

Una Unione Europea così, non esente da indietreggiamenti e da tentennamenti in campo etico, mostra però di procedere per la giusta strada: quella di una unità nella diversità che si costruisce con gradualità, consenso e che soprattutto pone al centro il bene dei cittadini.

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