Il rapporto Eurispes evidenzia una passione "spenta", che non è però apatia per la costruzione del bene comune, ma difficoltà a un impegno diretto. Forse perché si guarda a loro solo come a un'urgenza e non come a soggetti protagonisti


Redazione

11/02/2008

di Andrea CASAVECCHIA

Si avvicinano velocemente le elezioni. Nel giro di poche settimane verremo subissati di volantini, manifesti, dibattiti televisivi e programmi di possibili futuri governi. La “precoce tornata elettorale” ha un compito arduo: cercare di coinvolgere i cittadini italiani che negli ultimi tempi appaiono assai disillusi rispetto alla politica. Basta pensare al fenomeno del blog del comico Beppe Grillo. Basta osservare il successo di La Casta scritto da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. Tra i più disillusi ci sono i giovani, come rileva l’ultimo rapporto Eurispes.

Però nelle nuove generazioni si riscontra un’incongruenza. Infatti da alcuni dati Iard emerge che, mentre il 62% dei giovani parla di politica e il 57% assiste a un dibattito politico televisivo, solamente il 9% dichiara di offrire del tempo a un partito. Sembra che la grande maggioranza dei giovani non si senta rappresentata dalle formazioni presenti nell’attuale scenario politico. Da una parte c’è una forte disaffezione rispetto alle istituzioni come il Governo, il Parlamento, ma anche verso i partiti. Dall’altra parte si riscontra un discreto interesse verso la “cosa pubblica”.

Questa distanza non si traduce in disinteresse per la costruzione del bene comune. Anche la cronaca mostra che una grande parte dei giovani italiani non è per nulla disimpegnata. Se ne trovano moltissimi quando si celebrano manifestazioni per la pace come la marcia Perugia-Assisi. Altri promuovono e attivano forme di denuncia contro la criminalità organizzata, come i coraggiosi “giovani anti-‘ndrangheta’” di Locri.

Dai dati del Servizio civile nazionale emerge che i volontari avviati al servizio civile tra il 2001 e il 2006 sono stati oltre 154 mila (e le domande di partecipazione sono in costante crescita). Ogni anno persone tra i 18 e i 28 anni si propongono come parte attiva alla costruzione di società impiegandosi in attività sociali, culturali, educative…

Quello che manca è la possibilità di trovare giovani che si impegnino direttamente nelle formazioni politiche. Probabilmente la nostra politica interessa poco ai giovani, perché non trasmette passione, ma esclusivamente competizione tra interessi di parte. Inoltre le nuove generazioni non sono al centro delle questioni politiche, se non quando ci si occupa di emergenze: la droga, il bullismo, l’abbandono scolastico.

Finché i giovani continueranno a essere considerati soltanto un’urgenza e non saranno valorizzati come soggetti protagonisti sarà difficile pensare di ridurre la distanza dai partiti. Non li interroghiamo quasi mai quando si parla del futuro del nostro Paese, proprio il tempo più interessante per loro.

Nei dibattiti sulla costruzione di un’Italia multietnica e multiculturale, per esempio, non ci sono laboratori del civile che coinvolgano i giovani. Le discussioni tra le parti sociali sul futuro del lavoro si concentrano sulle pensioni, ma quando ci si occupa dell’inserimento lavorativo precario ci si perde in un’accettazione della flessibilità come dogma. Si parla del basso tasso di natalità italiano, ma formare una nuova famiglia è confinato unicamente nei limiti della sfera privata.

Perché i giovani dovrebbero “perdere tempo” appresso a giustificazioni dello status quo, invece di sognare una vita migliore, magari da costruire insieme e non contro gli altri?

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