Parla il segretario esecutivo della Commissione "ecumenismo e dialogo" della Conferenza episcopale indiana, padre M.D.Thomas: «La situazione va lentamente migliorando, anche se la popolazione cristiana dell'Orissa ha ancora molta paura. Siamo grati al Papa per l'attenzione che ci sta riservando. Il dialogo interreligioso deve e può continuare, perché è la risposta migliore alla cieca violenza»


Redazione

04/09/2008

Permane critica la situazione in Orissa anche se con qualche miglioramento. Le violenze anticristiane dei giorni scorsi hanno provocato distruzione, morti e feriti e migliaia di persone in fuga. I fondamentalisti indù non hanno risparmiato niente e nessuno, con orfanotrofi, chiese e abitazioni bruciate. Non sono mancate proteste vibranti da parte delle organizzazioni cristiane e degli stessi vescovi indiani, che hanno apertamente parlato di «attacco alla giustizia e alla pace».

Secondo dati forniti dalla Conferenza episcopale indiana, sono 50 le chiese attaccate, 10 gli esercizi commerciali distrutti, 4 i conventi, 5 gli ostelli, 6 gli istituti religiosi, mentre 6 sono i sacerdoti e i religiosi cattolici feriti. Delle 26 vittime sinora accertate, non è ancora possibile dire a quale comunità e confessione cristiana appartengano. Oggi le cose sembrano migliorare a Kandhmal, epicentro di queste violenze anticristiane, almeno nelle parole del segretario esecutivo della Commissione “ecumenismo e dialogo” della Cbci, padre M.D.Thomas.

Dopo giorni di violenze e morte, qual è la situazione adesso nello Stato di Orissa?
La situazione va lentamente migliorando, specialmente nelle città. Nelle aree rurali, invece, si registra ancora qualche disordine con manifestanti che bruciano immagini sacre o che rappresentano missionari. Qualche violenza anche in altri distretti, ma speriamo che tutto torni presto alla normalità.

La polizia dell’Orissa ha deciso il coprifuoco per 12 distretti e la pressione internazionale ha fatto muovere anche il Governo centrale…
Lo Stato federale di Orissa sta cercando di porre fine alle violenze in tutto il territorio, così come richiesto dallo Stato centrale, che vuole che vengano messi in atto tutti gli strumenti per riportare la legge, la calma e l’ordine dopo le brutalità dei giorni scorsi.

Domenica scorsa, all’Angelus, Benedetto XVI ha parlato degli «orrori della guerra, le violenze sugli innocenti, la miseria e l’ingiustizia che infieriscono sui deboli». Che risonanza hanno avuto in India queste parole?
Le parole del Papa sono state molto apprezzate, non solo dai cristiani, ma da tutte le minoranze che vivono in India, in particolare da quella musulmana. Siamo grati al Pontefice per l’attenzione che sta riservando al nostro Paese in questo frangente. L’esortazione del Pontefice «a rispondere a tanta malvagità con la forza disarmata e disarmante dell’amore che vince l’odio» è quanto mai attuale e ci indica la direzione da seguire.

Come vive ora la popolazione cristiana?
Quella nell’Orissa ha ancora molta paura. C’è da dire che a livello nazionale si registrano molti attestati di solidarietà verso i fedeli cristiani, a cominciare da tanti esponenti non fondamentalisti indù, così come dalla minoranza islamica che ha espressamente richiesto la fine della persecuzione contro le minoranze. Indù impegnati a livello sociale nello Stato dell’Orissa hanno espresso tutta la loro vicinanza ai nostri cristiani e la forte volontà di proseguire la collaborazione per il bene del Paese e per il dialogo e la conoscenza.

Che futuro prevede per il dialogo interreligioso in India, adesso?
Il dialogo deve e può continuare. Non si può fermare, specie adesso dopo violenze così brutali. La prossima settimana, come Commissione per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale indiana, avremo un meeting con il Governo e con altri esponenti religiosi per discutere di questa situazione. Abbiamo anche l’intenzione di dialogare con alcuni gruppi fondamentalisti: solo una minoranza tra questi, infatti, usa la violenza. Vogliamo evitare ulteriori contrasti ideologici e violenze. Intanto domenica 7 settembre celebreremo un giorno di preghiera e di digiuno. Ci saranno cortei per la pace, in vari luoghi, con fedeli di varie religioni. Il dialogo e preghiera sono la risposta migliore alla cieca violenza.

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