Dopo il fallimento dell'Onu, ora tocca all'Europa proporre soluzioni al nuovo scontro tra israeliani e palestinesi. Un compito che appare sopra le possibilità di una Ue divisa e dal primo gennaio guidata dalla Repubblica ceca, il cui residente Vaclav Klaus si sta dimostrando insofferente rispetto all'impegno comunitario


Redazione

05/01/2009

di Gianni BORSA

Se l’Onu fallisce, ci prova timidamente l’Europa . Di fronte al nuovo scontro fra israeliani e palestinesi, alle numerose vittime tra i civili, alle sofferenze imposte a popolazioni in balìa di governanti allergici alla pace, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è rivelato incapace di approvare una risoluzione per il cessate il fuoco.

Gli Stati Uniti hanno obiettato, non a torto, che il testo proposto dalla Libia per una tregua immediata non comprendeva una condanna delle azioni terroristiche condotte da Hamas. Tanto è bastato per chiudere una riunione che ha certificato l’immobilismo del Palazzo di vetro di fronte alla reazione sproporzionata di Israele e al sangue che scorre in Terra Santa.

Ètoccato ancora una volta a papa Benedetto XVI ricordare al mondo intero l’urgenza di far tacere le armi, che vanno solo a scapito di «popolazioni vittime dell’odio”, e che “la guerra non è la soluzione dei problemi».

All’operazione “piombo fuso” cerca ora di rispondere una Ue divisa. La missione in Medio Oriente, decretata dopo troppe titubanze da parte della presidenza di turno ceca, ècomposta da uno stuolo di alfieri: il ministro degli esteri di Praga Schwarzenerg, i colleghi di Francia e Svezia (precedente e prossima presidenza semestrale del Consiglio dei 27) Kouchner e Bild, l’Alto rappresentante per la politica estera Solana, la commissaria alle relazioni esterne Ferrero-Waldner. La “carovana” comunitaria ha stabilito una serie di tappe per incontrare i rappresentanti egiziani, israeliani e palestinesi, evitando però il rendez-vous con i notabili di Hamas.

Allo stesso tempo il presidente francese Nicolas Sarkozy – dopo aver condannato sia i razzi di Hamas che i bombardamenti e l’azione di terra israeliana – ha preso la via di Gerusalemme, mentre la Commissione di Bruxelles ha chiesto alle parti di assicurare un corridoio umanitario e ha stanziato 3 milioni di euro per aiuti immediati ai palestinesi.

Per capire se una tregua durevole e un ritorno alla politica e alla diplomazia sono possibili ci vorranno giorni, forse settimane. Intanto si confermano l’unicità della situazione mediorientale e la sua cronica instabilità; il dedalo di interessi e il pesante fardello storico sembrano porsi di traverso rispetto alla pace tra i popoli che vivono in questo lembo di Asia. E le titubanze dell’Onu, le incomprensioni europee, le ingerenze e le pressioni di altri protagonisti (dalla Russia alla Lega araba fino all’Iran) non marciano nella giusta direzione.

Sul versante europeo, in particolare, si prospetta una nuova fase di dissonanze in politica estera. La presidenza francese si era aperta con lo scontro nel Caucaso e Sarkozy aveva trascinato l’Ue in una mediazione rivelatasi pronta ed efficace. Ora la guida dell’Unione è nelle mani della Repubblica ceca: lo scetticismo che aveva preceduto il semestre sembra però rafforzarsi. Il presidente Vaclav Klaus appare insofferente rispetto agli impegni con Bruxelles: ma se l’intricata questione del gas russo-ucraino o l’iter di ratifica del Trattato di Lisbona non possono sopportare atteggiamenti dilatori, t anto meno si può chiedere pazienza a chi muore in Terra Santa.

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