Le istituzioni comunitarie si sono ritagliate competenze e poteri sempre più rilevanti per la vita dei cittadini. Non sempre riuscendo, però, a perseguire il "bene comune"


Redazione

26/09/2008

di Gianni BORSA

Problemi transfrontalieri e possibili soluzioni condivise; emergenze continentali e “strategie comunitarie”. Si ravvisa sempre più spesso tra Bruxelles e Strasburgo questa modalità di procedere: lo sguardo sulla realtà europea suscita interrogativi e dibattiti, smuove energie e interessi, conduce a progetti, mobilita le istituzioni Ue con i loro iter politici. E così dev’essere in un’Unione Europea che, nel dialogico rapporto con gli Stati membri, si è ritagliata competenze e poteri sempre più rilevanti per la vita dei cittadini.

Nei giorni scorsi, solo per fare qualche esempio, l’Ue si è mobilitata sul versante della droga, alla ricerca di azioni efficaci contro l’espandersi dei consumi, l’aumento del numero di giovani e adulti tossicodipendenti e quello delle vittime (oltre 7 mila morti l’anno), la diffusione di una criminalità organizzata che sullo spaccio ha creato un impero. Ma l’Ue abbozza anche una prima risposta al crescere delle persone indigenti che non dispongono di cibo sufficiente (a questo scopo gli stanziamenti nel 2009 saliranno a 500 milioni di euro); in parallelo, e paradossalmente, l’Ue sta cercando una risposta al fenomeno dell’obesità giovanile, causa di altre gravi malattie e di pesanti costi sociali e sanitari.

A metà ottobre saranno sempre i 27 a dar vita a un forum internazionale che affronterà in chiave economica e socio-politica il tema della povertà, così da preparare le iniziative del 2010, dichiarato Anno europeo della lotta contro la povertà. «L’impegno contro l’indigenza e l’esclusione sociale è uno degli obiettivi centrali dell’Ue e il nostro approccio congiunto è uno strumento importante per orientare e sostenere le azioni negli Stati membri»: parole di Vladimír Spidla, commissario responsabile per gli Affari sociali, il quale ci ricorda che gli europei sulla soglia dell’indigenza sono 78 milioni.

Ma su altri punti ancora l’Ue sembra accelerare: si pensi al binomio salute-tutela dei consumatori, oppure a immigrazione-sicurezza, ai cambiamenti climatici o alla demografia (invecchiamento della popolazione, sostegno alla natalità, conciliazione tra vita professionale e domestica). Tante emergenze, appunto, per ognuna delle quali si ravvisa la necessità di una “strategia” comune. In genere la Commissione ha un ruolo propulsore, poi quando la palla passa al Parlamento europeo e, più ancora, agli Stati membri riuniti nel Consiglio, le buone intenzioni sembrano spesso arenarsi.

Non che le risposte ai problemi dei cittadini siano latenti, anzi; in molti settori l’Ue fa ben più dei Paesi aderenti. Proprio dinanzi a orizzonti tanto complessi ci si domanda però se si stia costruendo un’“Europa del fare” e del “fare insieme”, oppure se questa tardi a prendere forma. Ovvero: si rafforza il “bene comune europeo” (conciliando solidarietà e sussidiarietà) o si rinvigoriscono egoismi nazionali e l’Europa delle paure?

Una risposta tutt’altro che secondaria è attesa già il 15 ottobre, quando si riunirà il Consiglio europeo per affrontare il nodo del Trattato di Lisbona. Il quale non sarà certo la panacea ai mali dell’Europa, ma potrebbe essere un primo valido strumento per mettere l’Ue nella posizione di affrontarli.

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