I clochard di fronte alle basse temperature: quali risposte arrivano dal Comune di Milano e dal privato sociale?


Redazione

04/12/2008

di Pino NARDI

È un appuntamento fisso: quando la temperatura precipita o fiocca la prima neve, come nei giorni scorsi, si torna a parlare di emergenza freddo. Un fenomeno che vede coinvolti oltre un migliaio di senza dimora, che rischiano molto se non trovano un rifugio per la notte. Eppure è un paradosso parlare di “emergenza” associato a un fenomeno che è naturale. «Sembra sempre paradossale ribadire che l’emergenza freddo non è emergenza – sottolinea infatti Raffaele Gnocchi, responsabile dell’Area grave emarginazione della Caritas Ambrosiana -. Bisogna invece continuare a discuterne programmando per tempo al punto che si parli di interventi strutturati specifici per il periodo estivo e invernale».

Anche se non si parte certo da zero. «È forse necessario un cambio di termini per dire quello che si sta facendo – continua -. Quest’anno, e già l’anno scorso, lo sforzo è garantire almeno di non morire in strada. Da tutti gli osservatori – come il nostro, del Comune e di altre associazioni – tuttavia emerge che ci saranno sempre spazi nei quali è difficile intervenire, non per mancanza di volontà, ma perché non si trovano le persone che si rintanano per ripararsi dal freddo».

Infatti convincere molti clochards a cercare un posto caldo non è così semplice: «C’è uno spazio di imprevedibilità. Certo che se poi si collega, alla difficoltà di agganciare le persone, anche far comprendere loro la necessità di spostarsi in questi giorni da una panchina a un’accoglienza, si deve fare conto della necessità di percorsi molto più lunghi».

Gli operatori dell’unità mobile rilevano che talvolta passano mesi prima che la persona accetti minimamente di farsi aiutare. Ci sono poi casi di senza dimora che hanno difficoltà a stare insieme ad altri nel luogo dove si dorme e scelgono di appisolarsi sui gradini del centro diurno: «Sì, di giorno stanno dentro e la notte sui gradini, creando grandi problemi di responsabilità per l’incolumità della persona».

C’è poi un fenomeno serio: «A Milano ci sono 300 persone con grandi problemi di sofferenza mentale e nei momenti più pericolosi sono quelle più esposte: chi vive sulla panchina – abbiamo visto quello che è successo a Rimini – rischia di “restarci”. Bisogna ricollocare il tema della pericolosità non per un’ipotetica cittadinanza normale, ma anche per le persone che vivono fuori. Stare in strada è realmente pericoloso».

Due milioni e 300 mila euro con 800 posti letto a rotazione per quattro mesi e mezzo: è questo l’impegno del Comune di Milano. La risposta che la città sta dando è sufficiente? «Si sta facendo un lavoro onesto – risponde Gnocchi -. Anche sacchi a pelo e coperte sono indispensabili, ma non bastano. Passata la cosiddetta “emergenza” freddo, occorre però verificare cosa voglia dire mettere in campo unità mobili diurne e notturne, garantire posti letto tramite la Fondazione Fratelli di S. Francesco. Tutto ciò però va fatto insieme. Con tutta la responsabilità che giustamente è del Comune che decide a chi dare i soldi, però dobbiamo puntare molto sulla verifica degli interventi, perché solo così si può progettare per tempo e tutelare dal rischio di morte le persone che stanno sulla strada».

Quali segnali arrivano dalle Politiche sociali? «L’assessore Moioli è molto concreta – sottolinea Gnocchi -. Dai pochi incontri ufficiali che abbiamo avuto emerge un interesse serio da parte sua. Però sarebbe interessante se si passasse da questo a un tavolo di programmazione con gli enti che si occupano di grave emarginazione, nel quale i vari punti di vista vengono messi insieme. Questo va fatto con tutti, non solo con uno o due enti, anche con quelli che non prendono denari dal Comune. Questa è sussidiarietà e corresponsabilità».

Perciò la proposta della Caritas è di continuare il dialogo con le istituzioni e con gli altri. «Facciamo in modo che quello che oggi si può definire un abbozzo di rete diventi un luogo di programmazione degli interventi sul medio e lungo periodo – continua Gnocchi -. Ma bisogna starci, non si può pensare che la responsabilità sia di altri. Tutti quelli che lavorano devono fare gruppo, al di là degli interessi anche legittimi di ognuno, perché è da tutelare il bene della persona».

Si discute se va segnalata la presenza dei clandestini… «Guardi – taglia corto -, è più “intelligente” chi applica le leggi di chi le definisce. Penso che nessun operatore sociale, poliziotto o questore, rifiuterà mai un posto letto in un’accoglienza quando fuori c’è il rischio che la persona muoia».

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