La testimonianza dei coniugi Pesarin, genitori di tre figlie, che in periodi diversi hanno aperto la porta della loro casa ad altri bambini, giunti in affido: «Ci siamo buttati in questa avventura e alla fine è stato un regalo anche per noi»

di Luisa BOVE

Famiglia Pesarin

Elena e Paolo Pesarin non avevano mai pensato all’affido. Sposati da 24 anni, da sempre vivono a Desio con le tre figlie: Agnese (23 anni), Camilla (21) e Michela (15). Poi la telefonata. Igor, assistente sociale e amico di famiglia, chiama Elena per proporle di accogliere due gemelline di un anno e mezzo, che avevano bisogno urgente di una famiglia di appoggio perché la mamma, una ragazza madre, doveva riprendere a lavorare. «Stai scherzando?!? Abbiamo già tre figlie…». Michela allora aveva solo 7 anni. «Pensaci! Parlane con Paolo e poi fammi sapere!».

La sera, a cena, riunione di famiglia. Il marito, sentita la richiesta, risponde: «Perché no?». A fare resistenza è Elena. È vero che è casalinga, ma una volta alla settimana cura la nonna di Paolo (la bisnonna delle figlie) per alleviare la suocera. Di notte muore e la situazione sembra alleggerirsi. Ma anche il nonno di Elena non gode di buona salute, così i Pesarin prendono tempo con l’assistente sociale. Poco dopo, nella notte, muore anche il nonno. «Abbiamo avuto due lutti in tre giorni e mezzo», racconta oggi Elena, che alla fine decide: «Va bene, Signore, ci sto! Se è questo che vuoi: eccomi. Eccoci!». E così è stato.

«Ci siamo buttati in questa avventura, anche se non ci sentivamo adeguati, ma ci siamo fidati. Abbiamo conosciuto le gemelline, che si sono fermate subito anche a dormire». Alla fine l’accoglienza è durata quasi due anni. La madre era sempre presente e portava le bimbe alla sera o al mattino. «All’inizio è stata dura – racconta Elena -. Piangevano tanto, soprattutto di notte, perché volevano la mamma, e noi non sapevamo se fosse giusto farle soffrire. Poi pian piano si sono abituate». In seguito, quando Elena ha riletto questa esperienza con le figlie, Agnese, la maggiore, ha ammesso: «Noi non abbiamo sofferto, perché tu ci hai cresciuto e siamo sempre state con te. Io mi lamento spesso che potrei avere un paio di scarpe in più, se tu andassi a lavorare. Ma ora capisco che è più importante avere la mamma vicino». «Questo per me è stato il regalo più grande», commenta Elena.

Dopo questo affido hanno detto basta. Poi è arrivata la solita telefonata d’urgenza dai Servizi sociali per Mira, una bambina bulgara di 6 anni, abbandonata dalla madre e sballottata tra vicini e conoscenti. Il papà era sempre lontano per lavoro. «È stato un affido difficilissimo – spiega Elena -, perché Mira non sapeva ancora lavarsi, mangiare, camminava storta, non rideva e alternava momenti di totale passività ad altri di grande agitazione in cui faceva i dispetti». Ha vissuto due anni in famiglia: il primo a tempo pieno (giorno e notte), con il padre che rientrava ogni mese o due dalla Germania; il secondo in affido parziale dal venerdì alla domenica, perché durante la settimana la teneva la nonna giunta dalla Bulgaria.

Intanto le tre figlie erano cresciute; in casa serviva più spazio, anche negli armadi, e dicevano: «Non c’è più posto per un bambino in affido». Poi un giorno i coniugi Pesarin hanno sentito parlare della cooperativa Comin e degli “affidi veloci” e hanno deciso di rimettersi in gioco seguendo un percorso a Milano con altre famiglie. Dopo sei mesi è arrivata la fatidica telefonata: «Abbiamo accolto Sadi, che aveva solo 40 giorni e veniva direttamente dall’ospedale». I genitori, originari del Bangladesh, erano giovanissimi e con un altro figlio di un anno. La madre non si era adattata a vivere in Italia e stava attraversando un periodo di depressione: «È stato un affido bellissimo. Essendo così piccolo, Sadi era come un figlio». Anche Agnese, Camilla e Michela lo consideravano un fratellino. Dal 2 maggio la casa è più vuota. L’intera famiglia infatti è rientrata in Bangladesh. «Il distacco, pur nella gioia, è stato faticoso per tutti, anche per le mie figlie – ammette Elena -. Siamo rimasti in buoni rapporti, il papà non sa più come manifestare la sua riconoscenza, ci ha già telefonato due volte e inviato alcune fotografie». Ora non resta che aspettare la prossima telefonata.

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