L’importanza del gruppo, la presenza al fianco dei ragazzi, il rispetto delle regole: alcuni allenatori sottolineano qualche cardine della loro responsabilità educativa
di Filippo MAGNI
«Quando la squadra sta giocando bene e tu chiami un cambio, mettendo in campo una ragazza meno forte di quella sostituita, qualche occhiataccia dalle compagne te la prendi…». Anche questo, racconta Andrea Battaglia, significa essere allenatore di pallavolo in una società legata a una parrocchia. La Regina Pacis di Monza, nel suo caso. «Allora, durante l’allenamento che segue, è importante spiegare i motivi della scelta – prosegue -. Spiegare che la forza deve trovarla il gruppo in campo in quel momento. Con le qualità, le debolezze e le diversità dei suoi componenti».
Battaglia, 47 anni, è entrato nel Gso Regina Pacis nel 2003. È un allenatore, ruolo che il cardinale Angelo Scola ha definito «mitico per i ragazzi», con «un grande peso su di loro». Per questo l’Arcivescovo ha invitato i mister, domani sera, a uno scambio di auguri natalizio, in rappresentanza di 850 società sportive ambrosiane che raccolgono 80 mila iscritti e 10 mila adulti impegnati. Ritenendoli a pieno titolo parte della Comunità educante necessaria per una crescita che consideri la totalità del ragazzo.
«Dopo anni con ragazze sopra i vent’anni ora alleno l’Under 13 – spiega ancora Battaglia -. Un’età in cui le giocatrici entrano in relazione molto velocemente con il loro allenatore, si fidano subito». Per questo, precisa, «anche a livello parrocchiale abbiamo ritenuto utile sviluppare relazioni di gruppo, ma anche singole tra la giocatrice e l’allenatore, o i vice. Così che in caso di difficoltà, non solo sportiva, abbiano un adulto cui fare riferimento diverso dai genitori, ai quali non sempre riescono ad aprirsi».
Anche per l’Osgb Giussano gli allenatori sono perni della struttura educativa. «La collaborazione con i genitori e le famiglie – si legge nella dichiarazione d’intenti della società – è parte sostanziale del progetto sportivo e delle relative iniziative e attività. Tale collaborazione si attiva attraverso la ricerca di un’alleanza educativa tra dirigenti, allenatori e genitori». Sostenuti con una formazione continua, spiega il presidente Paolo Vimercati: «I mister stanno con i ragazzi per un lungo arco di tempo, dai 6 ai 15 anni, per cui riescono a seguirne la crescita, notando i cambiamenti dell’età soprattutto nel periodo dell’adolescenza e della preadolescenza». Molti allenatori «sono cresciuti in oratorio, quindi hanno consapevolezza del loro ruolo di educatori» aggiunge Vimercati. Ma per essere ancor più coscienti «del loro ruolo di modello, per i ragazzi», condividono durante l’anno alcuni momenti insieme ai sacerdoti e agli altri educatori. Nei regolamenti dell’Osgb gli allenatori sono posti allo stesso livello di agenzie educative come oratorio, famiglia, scuola. Con la raccomandazione che favoriscano «lo sviluppo delle potenzialità sportive e umane degli allievi/e, organizzando attività divertenti e che siano motoriamente e psicologicamente coinvolgenti». A cui si aggiunge un promemoria fondamentale: «Ricordare che la partita è per i bambini e non per gli adulti».
«Un buon cristiano fa sport meglio di tutti gli altri perché ci mette più impegno, più rispetto, più se stesso. Altro che “squadre dell’oratorio”…». Ne è convinto anche Gianluca Meneghini, uno che dell’attività sportiva vede diversi fronti. È allenatore di volley, presidente dell’Ascot Triante di Monza, arbitro e pure responsabile degli arbitri del Csi. «Alleno da 17 anni – spiega -, con una pausa di un anno presa quando pensavo, sbagliandomi, di poter fare a meno di questa passione». Fatta di tempo speso per educare i ragazzi allo sport e alla vita. «Perché se non sai concentrarti in campo – afferma – difficilmente riuscirai a farlo nello studio, in famiglia, negli altri ambiti. Vale per la concentrazione come per l’impegno, la correttezza, il rispetto, l’accoglienza del diverso e per tutti i valori che si imparano sotto rete». In questa crescita il ruolo dell’allenatore si riassume, secondo Meneghini, «nell’essere un modello di coerenza. Comportarsi in corrispondenza con le proprie parole, mostrando che tutto ciò che si chiede ai ragazzi ha un obiettivo». E a fine stagione far capire che è una vittoria «l’essere arrivati secondi in campionato, facendo giocare tutti, dietro a chi ha iniziato e concluso l’anno con le stesse 6 in campo. E le altre fisse in panchina» All’Ascot diversi, entrati da giocatori, diventano poi allenatori. Gratis. «Proponiamo momenti formativi per non perdere di vista il nostro ruolo educativo: può capitare, se si cerca di superare le difficoltà da soli. Non accade, al contrario, quando le fatiche sono condivise con il gruppo dei colleghi allenatori».
Molto più di un tecnico
Anche solo effettuando un viaggio negli statuti e nei regolamenti delle società sportive ambrosiane, si coglie il ruolo dell’allenatore inteso come molto più di un semplice tecnico. Il Centro Schuster di Milano parla di «persone consapevoli del loro ruolo educativo» che si impegnano, tra le altre cose, a «condividere il principio di sport come strumento formativo», a essere coscienti del loro ruolo di «riferimento per i giovani loro affidati», condividendo la «proposta cristiana del Centro». L’Asd Nabor di piazza Perrucchetti a Milano mette in campo 100 tra mister e dirigenti per «educare e far crescere attraverso lo sport e l’educazione cristiana». L’Osm Assago (parrocchia San Desiderio) ha tra i propri intenti «la formazione degli allenatori in collaborazione con la parrocchia e con le altre realtà ecclesiali decanali e diocesane». Gli oltre 150 iscritti dell’altisonante Real Affori possono invece contare su mister che «cercano di porre l’attenzione sui principali obiettivi formativi indispensabili per la crescita. Nella ferma convinzione che lo sport, praticato osservando i valori di lealtà e rispetto reciproco, sia un formidabile strumento di crescita e aggregazione».