Le nuove tecnologie stanno radicalmente trasformando il modo di comunicare, tra i più giovani ma non solo. Una vera e propria "rivoluzione" con tanti aspetti positivi ma anche molti rischi soprattutto nelle relazioni

Vittorio CHIARI
Redazione Diocesi

Non ricordo più né titolo né autore del libro sull’amicizia, che mi ha accompagnato per molti anni nel mio cammino educativo con i giovani. Forse era di monsignor Maio, citava pagine di padri della Chiesa, riflessioni profonde sul tema, che appassionava i giovani di ieri come quelli di oggi.

Una parte era dedicata alle lettere come mezzo ordinario di comunicazione dei sentimenti: quando scrivi, la persona alla quale ti rivolgi, la puoi sentire accanto a te; chi riceve, leggendo, sente vicino lo scrivente, quasi ne avverte il profumo, il respiro. Una lettera la si conserva nel tempo, si può leggere e rileggere più volte, richiama promesse, giuramenti, riannoda legami, salva i rapporti.

Ma tutto questo piace a me, ma non piace ai giovani, che intrattengono legami con “il mondo intero” attraverso le nuove tecnologie, dal cellulare a internet.

E’ davvero incredibile la facilità con cui si diffondono oggi notizie, si condividono informazioni e saperi, si stabiliscono relazioni, si rivelano pezzi della propria vita a gente che forse si conosce solo in rete, provocando mille cambiamenti delle abitudini: «Questi cambiamenti – ha scritto Benedetto XVI nel suo Messaggio per la 43.ma Giornata Mondiale della comunicazione sociale – sono particolarmente evidenti tra i giovani, che sono cresciuti in stretto contatto con queste nuove tecniche» dalle quali sono esclusi gli adulti che si sentono lontani dalle generazioni “digitali”, un linguaggio che il Papa definisce “un vero dono per l’umanità”. Non ricordo più né titolo né autore del libro sull’amicizia, che mi ha accompagnato per molti anni nel mio cammino educativo con i giovani. Forse era di monsignor Maio, citava pagine di padri della Chiesa, riflessioni profonde sul tema, che appassionava i giovani di ieri come quelli di oggi. Una parte era dedicata alle lettere come mezzo ordinario di comunicazione dei sentimenti: quando scrivi, la persona alla quale ti rivolgi, la puoi sentire accanto a te; chi riceve, leggendo, sente vicino lo scrivente, quasi ne avverte il profumo, il respiro. Una lettera la si conserva nel tempo, si può leggere e rileggere più volte, richiama promesse, giuramenti, riannoda legami, salva i rapporti. Ma tutto questo piace a me, ma non piace ai giovani, che intrattengono legami con “il mondo intero” attraverso le nuove tecnologie, dal cellulare a internet. E’ davvero incredibile la facilità con cui si diffondono oggi notizie, si condividono informazioni e saperi, si stabiliscono relazioni, si rivelano pezzi della propria vita a gente che forse si conosce solo in rete, provocando mille cambiamenti delle abitudini: «Questi cambiamenti – ha scritto Benedetto XVI nel suo Messaggio per la 43.ma Giornata Mondiale della comunicazione sociale – sono particolarmente evidenti tra i giovani, che sono cresciuti in stretto contatto con queste nuove tecniche» dalle quali sono esclusi gli adulti che si sentono lontani dalle generazioni “digitali”, un linguaggio che il Papa definisce “un vero dono per l’umanità”. Una vera rivoluzione E’ nato quindi un nuovo modo di studiare, di fare ricerca, di avere accesso a documenti e libri, di superare le distanze, di lavorare in èquipe, una “vera rivoluzione” che ha tantissimi aspetti positivi ma anche dei rischi seri soprattutto sulle relazioni, che si creano tra persone. Non vanno sottovalutati, soprattutto se nascondono adescamenti o mistificazioni oppure originano ossessioni compulsive. Sincerità, onestà, rispetto delle persone sono essenziali per entrare in rapporto sereno con gli altri. Personalmente, avendo valorizzato molto il linguaggio del corpo, lavorando nel teatro e nella clownerie, ho sempre qualche dubbio su ciò che è virtuale. Faccio difficoltà a rapportarmi con chi non vedo, che non riesco a leggere nello sguardo, nel tono della voce, nell’espressione del corpo, per cui sto resistendo a un mio giovane confratello, che avendo molta dimestichezza con questi mezzi, vorrebbe che aprissi un sito personale, mettendomi a disposizione dei giovani: «L’amicizia è una cosa seria, non un gioco, richiede conoscenza, tempi, esperienze reali, momenti vissuti insieme, dialogo e ascolto, cultura». Mi ha risposto citando Giovanni Paolo II che nel 2002 affermava che “per la Chiesa il nuovo mondo del ciberspazio esorta alla grande avventura di utilizzare il suo spazio per annunciare il messaggio evangelico”, aggiungendo, per mettermi al tappeto, che per Papa Benedetto internet non è solo strumento di comunicazione ma è “un ambiente culturale”, dal quale non si può stare fuori: “Quando sentiamo il bisogno di avvicinarci ad altre persone, quando vogliamo conoscerle meglio e farci conoscere, stiamo rispondendo alla chiamata di Dio� il Dio della comunicazione e della comunione”, che vuole fare dell’umanità un’unica famiglia, anche attraverso i nuovi linguaggi. Forse aprirò anch’io un sito… Cresciuto alla scuola di Don Bosco, che riteneva “il cortile” dell’oratorio uno spazio privilegiato di incontro e di amicizia, permane sempre forte in me la paura di rinchiudermi “in rete”, abbandonando il rapporto con i ragazzi e i giovani, che frequentano la scuola o l’oratorio, giocando in palestra o sul campo sportivo, che sanno di sudore e di fumo e che, con i pantaloni a vita bassa e l’iPod, vogliono incontrarmi dal vivo. Proverò comunque a dar retta al mio giovane confratello, aprirò un sito e se mi accorgo che la rete, chiamata a connettere, in realtà finisce per isolarmi, andrò in crisi e mi consiglierò sul da farsi.

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