Un manifesto per l'etica e le sfide della professione: ne parla il presidente nazionale dei giornalisti cattolici Andrea Melodia

a cura di Francesco ROSSI
Redazione

Un convegno nazionale a Roma il 4 dicembre, sul “Giornalismo cattolico nel tempo e nella professione”, e una messa sabato 5 dicembre (Basilica del Cristo Re, viale Mazzini 32, Roma, ore 11), celebrata dal portavoce vaticano padre Federico Lombardi in suffragio di Emilio Rossi (presidente dell’Ucsi dal 1999 al 2002) nel primo anniversario della scomparsa. Sono i prossimi appuntamenti con cui l’Unione Cattolica della Stampa Italiana (Ucsi) celebra il suo 50° anniversario. Al convegno verrà tra l’altro presentato ufficialmente il Manifesto per l’etica dell’informazione, curato da Adriano Fabris, e si darà avvio alla campagna di sottoscrizione.
In occasione dei 50 anni dell’Ucsi, con il suo presidente nazionale Andrea Melodia ripercorriamo la storia dell’associazione e affrontiamo alcuni snodi cruciali che investono oggi la professione giornalistica.

Cosa ha significato l’Ucsi in questo cinquantennio e che ruolo ha oggi?
Nata nel 1959 per iniziativa di alcuni prestigiosi giornalisti, l’Ucsi si è poi rafforzata negli anni conciliari, dai quali ha preso via una lunga fase nobile che segnerà tappe importanti nella dialettica interna alla professione giornalistica e nell’elaborazione di una cultura dell’informazione. Alla lunga, però, l’associazione ha finito per patire un certo collateralismo con la politica, così nel dicembre 1993 si è giunti a una svolta con l’approvazione di un nuovo Statuto. Ha preso il via in questo modo una fase di servizio che perdura tuttora: servizio alla Chiesa e ai giornalisti cattolici, puntando soprattutto sul ruolo formativo, sul rafforzamento del carattere etico e di pubblico servizio del lavoro giornalistico.

Emilio Rossi, che fu tra l’altro primo direttore del Tg1 e presidente del Centro televisivo vaticano, non amava essere definito “giornalista cattolico”…
Anch’io penso che l’essere giornalisti e cattolici appartenga a due sfere comunicanti, ma separate. Per molti anni ho lavorato in Rai assieme a Emilio Rossi: sapevamo che era profondamente cattolico, ma non l’abbiamo mai visto schierato in battaglie di principi, aveva chiaro il senso del servizio pubblico. All’interno di dimensioni pubbliche – come dovrebbero essere i giornali – bisogna avere come obiettivo il bene comune. L’essere cattolici, in ciò, è una dimensione importante, ma non ritengo che ci si debba etichettare come giornalisti cattolici.

Come intende ricordare l’Ucsi quest’anniversario?
Oltre alla celebrazione del 4 dicembre, momento d’incontro pubblico e istituzionale, vogliamo rafforzare le nostre attività. Stiamo preparando per la primavera prossima una scuola di alta formazione per giornalisti dedicata all’etica della professione. Abbiamo un’attenzione particolare ai nuovi media, anche attraverso la nostra rivista di cultura e ricerca sulla comunicazione Desk. Cerchiamo inoltre di costruire un rapporto con i più giovani, guardando anche a coloro che nella professione giornalistica fanno fatica a entrare. Infine, ritengo importante che l’Ucsi possa avere un ruolo anche critico nei confronti di certe aberrazioni della comunicazione che oggi si verificano, per esempio attraverso la tv.

Proprio l’etica è una delle questioni problematiche più avvertite…
Sul piano normativo ci si aspetta, speriamo in tempi rapidi, una riforma dell’Ordine dei giornalisti che gli dia maggiore celerità e agilità. Ma non basta la normativa: bisogna piuttosto fare attività di sensibilizzazione e formazione, sia dell’opinione pubblica, sia dei giornalisti. Entrambi determinano il buon giornalismo. La responsabilità è di tutti, e occorre fare uno sforzo per migliorare la qualità della comunicazione, da cui dipende pure la qualità del Paese.

Da cosa si può partire?
Per esempio dalla televisione di servizio pubblico. Il fatto che partecipi al degrado è un segno pericolosissimo.

Ma anche quando un giornalista o una trasmissione vengono sanzionati, non cambia nulla…
In qualsiasi Paese quando s’indicano delle responsabilità in modo chiaro se ne traggono le conseguenze. In Italia no, c’è subito qualcuno che fa di questi personaggi degli eroi. L’unica cosa che si può fare è mettere l’opinione pubblica in grado di capire e di giudicare. Se poi nulla cambia è perché il livello della coscienza del Paese si è degradato.

Ritorna anche qui l’urgenza dell’educazione…
La Chiesa stessa dev’essere sempre più attenta a tal proposito, richiamando l’attenzione sui comportamenti gravi tanto dei mezzi di comunicazione quanto dell’opinione pubblica.

Altro problema riguarda il precariato lavorativo. Assai diffuso nel Paese, è presente con forza all’interno della categoria, con rischi anche per l’autonomia dei giornalisti…
Purtroppo tutto il lavoro intellettuale è sottopagato e sottostimato. Chiedo ai giornalisti che si trovano in tale situazione di resistere e fare al meglio il proprio lavoro. Nonostante tutto, bisogna cercare di far crescere un buon giornalismo, farlo colloquiare al proprio interno e con solidarietà tra colleghi. Senza mai smettere di far sentire la propria voce. Un convegno nazionale a Roma il 4 dicembre, sul “Giornalismo cattolico nel tempo e nella professione”, e una messa sabato 5 dicembre (Basilica del Cristo Re, viale Mazzini 32, Roma, ore 11), celebrata dal portavoce vaticano padre Federico Lombardi in suffragio di Emilio Rossi (presidente dell’Ucsi dal 1999 al 2002) nel primo anniversario della scomparsa. Sono i prossimi appuntamenti con cui l’Unione Cattolica della Stampa Italiana (Ucsi) celebra il suo 50° anniversario. Al convegno verrà tra l’altro presentato ufficialmente il Manifesto per l’etica dell’informazione, curato da Adriano Fabris, e si darà avvio alla campagna di sottoscrizione.In occasione dei 50 anni dell’Ucsi, con il suo presidente nazionale Andrea Melodia ripercorriamo la storia dell’associazione e affrontiamo alcuni snodi cruciali che investono oggi la professione giornalistica.Cosa ha significato l’Ucsi in questo cinquantennio e che ruolo ha oggi?Nata nel 1959 per iniziativa di alcuni prestigiosi giornalisti, l’Ucsi si è poi rafforzata negli anni conciliari, dai quali ha preso via una lunga fase nobile che segnerà tappe importanti nella dialettica interna alla professione giornalistica e nell’elaborazione di una cultura dell’informazione. Alla lunga, però, l’associazione ha finito per patire un certo collateralismo con la politica, così nel dicembre 1993 si è giunti a una svolta con l’approvazione di un nuovo Statuto. Ha preso il via in questo modo una fase di servizio che perdura tuttora: servizio alla Chiesa e ai giornalisti cattolici, puntando soprattutto sul ruolo formativo, sul rafforzamento del carattere etico e di pubblico servizio del lavoro giornalistico.Emilio Rossi, che fu tra l’altro primo direttore del Tg1 e presidente del Centro televisivo vaticano, non amava essere definito “giornalista cattolico”…Anch’io penso che l’essere giornalisti e cattolici appartenga a due sfere comunicanti, ma separate. Per molti anni ho lavorato in Rai assieme a Emilio Rossi: sapevamo che era profondamente cattolico, ma non l’abbiamo mai visto schierato in battaglie di principi, aveva chiaro il senso del servizio pubblico. All’interno di dimensioni pubbliche – come dovrebbero essere i giornali – bisogna avere come obiettivo il bene comune. L’essere cattolici, in ciò, è una dimensione importante, ma non ritengo che ci si debba etichettare come giornalisti cattolici.Come intende ricordare l’Ucsi quest’anniversario?Oltre alla celebrazione del 4 dicembre, momento d’incontro pubblico e istituzionale, vogliamo rafforzare le nostre attività. Stiamo preparando per la primavera prossima una scuola di alta formazione per giornalisti dedicata all’etica della professione. Abbiamo un’attenzione particolare ai nuovi media, anche attraverso la nostra rivista di cultura e ricerca sulla comunicazione Desk. Cerchiamo inoltre di costruire un rapporto con i più giovani, guardando anche a coloro che nella professione giornalistica fanno fatica a entrare. Infine, ritengo importante che l’Ucsi possa avere un ruolo anche critico nei confronti di certe aberrazioni della comunicazione che oggi si verificano, per esempio attraverso la tv.Proprio l’etica è una delle questioni problematiche più avvertite…Sul piano normativo ci si aspetta, speriamo in tempi rapidi, una riforma dell’Ordine dei giornalisti che gli dia maggiore celerità e agilità. Ma non basta la normativa: bisogna piuttosto fare attività di sensibilizzazione e formazione, sia dell’opinione pubblica, sia dei giornalisti. Entrambi determinano il buon giornalismo. La responsabilità è di tutti, e occorre fare uno sforzo per migliorare la qualità della comunicazione, da cui dipende pure la qualità del Paese.Da cosa si può partire?Per esempio dalla televisione di servizio pubblico. Il fatto che partecipi al degrado è un segno pericolosissimo.Ma anche quando un giornalista o una trasmissione vengono sanzionati, non cambia nulla…In qualsiasi Paese quando s’indicano delle responsabilità in modo chiaro se ne traggono le conseguenze. In Italia no, c’è subito qualcuno che fa di questi personaggi degli eroi. L’unica cosa che si può fare è mettere l’opinione pubblica in grado di capire e di giudicare. Se poi nulla cambia è perché il livello della coscienza del Paese si è degradato.Ritorna anche qui l’urgenza dell’educazione…La Chiesa stessa dev’essere sempre più attenta a tal proposito, richiamando l’attenzione sui comportamenti gravi tanto dei mezzi di comunicazione quanto dell’opinione pubblica.Altro problema riguarda il precariato lavorativo. Assai diffuso nel Paese, è presente con forza all’interno della categoria, con rischi anche per l’autonomia dei giornalisti…Purtroppo tutto il lavoro intellettuale è sottopagato e sottostimato. Chiedo ai giornalisti che si trovano in tale situazione di resistere e fare al meglio il proprio lavoro. Nonostante tutto, bisogna cercare di far crescere un buon giornalismo, farlo colloquiare al proprio interno e con solidarietà tra colleghi. Senza mai smettere di far sentire la propria voce.

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