Il noto detective dell'incubo indaga tra infortuni e violenze psicologiche. Parla lo sceneggiatore Giovanni Gualdoni, che ha raccontato "il lato oscuro del lavoro": «Molti lettori si sono riconosciuti nei personaggi»

Carlo ROSSI
Redazione

Ha portato Dylan Dog in fabbrica e ne ha fatto un personaggio “sociale”. Alle prese con mostri non immaginari, ma reali: le morti bianche, gli incidenti, ma anche il mobbing, le quotidiane e sottili violenze psicologiche, Un’organizzazione iper-competitiva del lavoro che spesso spersonalizza e annienta l’individuo. C’è tutto questo nella storia a fumetti Le morti bianche del giovane sceneggiatore Giovanni Gualdoni, uscita sull’albo Maxi Dylan Dog di luglio dell’editore Sergio Bonelli, con i disegni di Montanari e Grassani.
Il racconto vede il celebre “indagatore dell’incubo” infiltrarsi come operaio nell’immaginaria fabbrica Formake, per scoprire cosa c’è dietro una serie di incidenti mortali. Uno spunto per affermare tra l’altro, come dice un’operaia nella storia, che spesso «i cosiddetti infortuni sul lavoro sono solo una definizione di comodo inventata per giustificare inadeguati sistemi di sicurezza».
«Dylan Dog, per le sue caratteristiche, può essere utilizzato come metafora per parlare di qualsiasi cosa – dice Gualdoni, 34 anni, da tre redattore dell’editrice Bonelli -. Del resto lo stesso Tiziano Sclavi, l’ideatore del personaggio, che come sempre ha letto e approvato il soggetto, fin dagli inizi ha affrontato temi fantastici e horror, ma anche avventure “impegnate”. Questa volta volevo parlare del mondo del lavoro. Non solo delle morti bianche – l’aspetto più drammatico che emerge dalla cronaca purtroppo quotidiana -, ma anche delle silenziose violenze psicologiche, del mobbing, temi su cui non si discute abbastanza».
E proprio su questi aspetti il fumetto ha fatto centro, a giudicare dalle prime risposte dei lettori. «Abbiamo ricevuto parecchi commenti e lettere in redazione e sul forum on line “Craven Road 7” dedicato a Dylan Dog – dice Gualdoni – . Ci hanno scritto operai e impiegati che si sono riconosciuti in diverse situazioni della storia. Qualcuno ci ha raccontato di capi-reparto spietati e isterici come il signor Loeb del mio fumetto. Un lettore ci ha narrato il caso di un operaio che, a lungo tormentato dai superiori, è stato poi promosso capo-reparto e ha cominciato a sua volta a “mobbizzare” gli altri».
Lo spunto iniziale della storia è venuto da un racconto di Stephen King, The Mangler, dove una mostruosa stiratrice industriale “divora” le operaie che la usano: «Ma dal tema letterario-horror degli oggetti che si animano ho voluto trarre il pretesto per riflettere, in generale, sulla condizione dei lavoratori». Già l’anno scorso Gualdoni aveva ambientato una breve storia di Dylan Dog in un call-center. «Ora – anticipa – sto lavorando a un’altra storia sulle morti bianche, stavolta in un cantiere. Non faccio riferimento a specifici fatti di cronaca. Un fumetto non può certo sostituirsi all’informazione giornalistica. Ma anche Dylan Dog, usato come metafora, può magari far riflettere». Ha portato Dylan Dog in fabbrica e ne ha fatto un personaggio “sociale”. Alle prese con mostri non immaginari, ma reali: le morti bianche, gli incidenti, ma anche il mobbing, le quotidiane e sottili violenze psicologiche, Un’organizzazione iper-competitiva del lavoro che spesso spersonalizza e annienta l’individuo. C’è tutto questo nella storia a fumetti Le morti bianche del giovane sceneggiatore Giovanni Gualdoni, uscita sull’albo Maxi Dylan Dog di luglio dell’editore Sergio Bonelli, con i disegni di Montanari e Grassani.Il racconto vede il celebre “indagatore dell’incubo” infiltrarsi come operaio nell’immaginaria fabbrica Formake, per scoprire cosa c’è dietro una serie di incidenti mortali. Uno spunto per affermare tra l’altro, come dice un’operaia nella storia, che spesso «i cosiddetti infortuni sul lavoro sono solo una definizione di comodo inventata per giustificare inadeguati sistemi di sicurezza».«Dylan Dog, per le sue caratteristiche, può essere utilizzato come metafora per parlare di qualsiasi cosa – dice Gualdoni, 34 anni, da tre redattore dell’editrice Bonelli -. Del resto lo stesso Tiziano Sclavi, l’ideatore del personaggio, che come sempre ha letto e approvato il soggetto, fin dagli inizi ha affrontato temi fantastici e horror, ma anche avventure “impegnate”. Questa volta volevo parlare del mondo del lavoro. Non solo delle morti bianche – l’aspetto più drammatico che emerge dalla cronaca purtroppo quotidiana -, ma anche delle silenziose violenze psicologiche, del mobbing, temi su cui non si discute abbastanza».E proprio su questi aspetti il fumetto ha fatto centro, a giudicare dalle prime risposte dei lettori. «Abbiamo ricevuto parecchi commenti e lettere in redazione e sul forum on line “Craven Road 7” dedicato a Dylan Dog – dice Gualdoni – . Ci hanno scritto operai e impiegati che si sono riconosciuti in diverse situazioni della storia. Qualcuno ci ha raccontato di capi-reparto spietati e isterici come il signor Loeb del mio fumetto. Un lettore ci ha narrato il caso di un operaio che, a lungo tormentato dai superiori, è stato poi promosso capo-reparto e ha cominciato a sua volta a “mobbizzare” gli altri».Lo spunto iniziale della storia è venuto da un racconto di Stephen King, The Mangler, dove una mostruosa stiratrice industriale “divora” le operaie che la usano: «Ma dal tema letterario-horror degli oggetti che si animano ho voluto trarre il pretesto per riflettere, in generale, sulla condizione dei lavoratori». Già l’anno scorso Gualdoni aveva ambientato una breve storia di Dylan Dog in un call-center. «Ora – anticipa – sto lavorando a un’altra storia sulle morti bianche, stavolta in un cantiere. Non faccio riferimento a specifici fatti di cronaca. Un fumetto non può certo sostituirsi all’informazione giornalistica. Ma anche Dylan Dog, usato come metafora, può magari far riflettere».

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