Un Convegno a Milano, lo scorso sabato, ha celebrato l'inventore dei cineforum parrocchiali. Nell'intervista che segue, Monsignor Dario Viganò, vicepresidente vicario Acec, ricorda la figura di questo straordinario sacerdote ambrosiano


Redazione

07/10/2008

Il cinema nella diocesi di Milano trova le sue origini nella figura di don Giuseppe Gaffuri a cui è stato dedicato un Convegno che si è tenuto sabato 4 ottobre a Milano. «Radio Marconi» ne ha parlato in questi giorni dalle sue frequenze e ha intervistato monsignor Dario Viganò, delegato dell’Associazione cattolica esercenti cinema (Acec) per la diocesi di Milano e vicepresidente vicario Acec.

Innanzitutto chi era don Gaffuri?
Don Gaffuri era un prete animato da due caratteristiche: dalla grande passione per la cultura e per il Vangelo e appunto questi due fattori lo hanno condotto a girare per tutta la diocesi ad animare i cineforum. Proprio questo faticoso impegno di cui si era fatto carico lo ha portato una sera tardi, mentre rientrava da un cineforum, a incorrere in un gravissimo incidente stradale che gli è costato la vita prematuramente.

A don Gaffuri si deve anche l’uso delle sale parrocchiali per diventare punti di incontro e per diffondere il Vangelo attraverso il cinema…
Sì, don Gaffuri era un grande animatore di cineforum, momenti popolari di visione pubblica del cinema attorno al quale si dibatteva; fu il coordinatore del Centro studi cinematografici, un’associazione di circoli di cultura e di cinematografia, e inventò i corsi di formazione per coloro che conducevano i cineforum. Non dimentichiamo che in quegli anni ’60 si iniziava a respirare aria di primi fermenti nella società e nella Chiesa. Da parte sua, don Gaffuri a Milano fu il grande animatore della cultura popolare e di quella grande Chiesa di popolo che, così come negli anni ’60, anche oggi è viva e, dice il Papa, è piena di speranza.

Come è vissuta oggi la sala cinematografica parrocchiale, che nulla ha da invidiare ai cinema commerciali?
I punti di forza delle sale della comunità, così come vengono chiamate oggi, sono il radicamento sul territorio e la molteplicità dei contenuti. Queste sale, infatti, permangono fortunatamente nei centri abitativi e qui possono puntare a diventare un luogo di socializzazione, di incontro, di cultura. In questi anni, inoltre, si è passati da una sala esclusivamente cinematografica ad una sala che offre molteplici proposte, dove certamente si può e si deve continuare a fare il cinema, a non negare quella tradizione vocazione originale, ma accanto al cinema in molte sale c’è il teatro dei ragazzi, le filodrammatiche, gli incontri di formazione, i teleforum. Un terzo elemento di forza per le nostre sale è quello di non essere condizionate dalle logiche del mercato. Si possono dunque apportare delle innovazioni che diversamente sarebbe difficile intraprendere. Una di queste grandi innovazioni che la sala della comunità ha avviato in questi anni è il circuito digitale che non sarebbe mai entrato in Italia, o avrebbe ulteriormente ritardato l’ingresso, se l’Acec non avesse rappresentato un’esperienza pilota in questo settore.

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