Intervista a Paolo Padrini, sacerdote famoso per aver lanciato iBreviary, l’applicazione che porta la preghiera del Breviario, per la prima volta al mondo e in cinque lingue, su iPhone e iPad

di Gianluca BERNARDINI

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«I social media sono un affare serio», afferma don Paolo Padrini, che ha da poco pubblicato “Facebook, internet e i digital media”. Una guida per genitori ed educatori. Un libro che sottolinea l’importanza di conoscere sempre meglio i meccanismi e il linguaggio dei nuovi spazi digitali.

Dove nasce l’idea di questo libro?
L’idea viene da una constatazione e da un’esigenza. Mi sto accorgendo che l’approccio informativo e riflessivo sui grandi temi che coinvolgono i nuovi media, soprattutto in ambito educativo e relazionale, viene sempre più relegato al “tecnologico puro” o, peggio, al “funzionale”. Poca è la consapevolezza (almeno come la percepisco io) dell’importanza di questi “mondi”, sia per la creazione della nostra personalità in relazione, sia per la strutturazione della nostra vita affettiva. Questi sono più che strumenti: sono realtà che ci cambiano, che ci modellano. Non possiamo permetterci, dunque, un approccio puramente tecnologico, “superficiale”. Da questa considerazione nasce l’esigenza di dare un metodo basilare e non superficiale, di strutturare un vero e proprio approccio sapienziale. Aggiungiamoci l’esigenza di dotarsi di strumenti attivi, dal punto di vista educativo e dell’evangelizzazione, atti a valorizzare in queste prospettive i “nuovi mondi”.

Sulla base della tua notevole esperienza sul campo, quali sono i pregi e i rischi dei social media?
Tra i primi mi piace ricordare quello di aprirci a nuovi spazi di relazione e di incontro, allargando anche quel “mantello del Signore”, che tanti nostri fratelli – da noi spesso reputati distanti – hanno il diritto di poter “toccare”. I rischi più pressanti non sono tanto quelli legati ai “brutti incontri”, quanto al fenomeno della “costruzione del sé”. Questi strumenti cambiano il nostro modo di essere, in qualche maniera modificano il nostro Dna. Un aspetto da tenere fortemente in considerazione.

Allora quali sono più specificamente i miti da sfatare e le paure da combattere in campo educativo?
Il mito più grande da sfatare credo sia quello di pensare che questi strumenti possano essere la “panacea” della comunicazione. Utilizzare internet e i social network, in generale, non riempie tout court tutte le nostre esigenze, il nostro anelito di relazioni significative. Come cristiani, poi, dovremmo anche ricordarci che tale anelito può essere riempito solo in Dio, nel quale «solo trova riposo la nostra anima». D’altro canto questa mitizzazione, paradossalmente, determina anche tutte le nostre paure: diventeremo uomini digitalizzati? Sparirà la “realtà”? Queste cose ci spaventano e ci danno l’impressione di “annegare” in un mare immenso, presi dal panico. Qui deve scattare la nostra “spinta educativa”: ciò che noi viviamo è reale e richiede la nostra presenza, responsabilità e libertà. Qui si gioca tutta la nostra “sfida” in campo educativo.

Quali sono le attenzioni minime che un genitore/educatore deve avere nei confronti di un minore che utilizza i social network?
Nel libro parlo molto e anche in modo concreto di queste attenzioni. La prima è una vera e propria “scommessa di metodo”. Dobbiamo inserire l’esperienza dei nostri ragazzi nei mondi digitali nella nostra “agenda” dei temi educativi. Nel rapporto genitori/figli dovremmo vivere educativamente anche il tempo “per” internet. Il tempo non è solo “di” internet, nel senso di un tempo fuori dalle istanze educative e dalle relazioni familiari: il tempo che i nostri figli passano a utilizzare le moderne tecnologie deve essere “digerito educativamente”, affinché valga. Posto questo modello di approccio, nascono di conseguenza atteggiamenti coerenti, a volte molto semplici, ma che, dentro una prospettiva educativa più generale, acquistano valore e profondità. Pensiamo, per esempio, alla collocazione del computer nella stanza, alle regole di comportamento e di gestione all’interno della famiglia. Se la base metodologico-educativa è solida e ben strutturata, tutti questi ambiti di intervento vengono sottratti dall’ambito negativo/moralistico per diventare veri e propri spazi di condivisione educativa.

Il libro è associato a un blog tematico: genitorieinternet.blogspot.com…
Il libro è una realtà “viva”, oltre cui bisogna andare. I blog rappresentano importanti estensioni del libro stesso, che si conforma così come “seme” gettato su un terreno che può continuare a portare frutto. Attraverso i commenti, la condivisione, gli approfondimenti, il libro continua a vivere e può alimentarsi e aggiornarsi. Tutto ciò non può che arricchirne e amplificarne il contenuto.

Cosa diresti a un ragazzo che inizia ad affacciarsi al mondo di internet?
Gli direi di essere “serio” su internet; lo farei riflettere sul fatto che lo spazio di internet è uno spazio importante, che è un dono di Dio da vivere con responsabilità e coraggio. Certo non farei l’errore di sminuire l’importanza dello strumento: così rischierei di illudermi di averlo convinto a non usare internet, con il risultato poi di destrutturarlo dal punto di vista della responsabilità. Non gli metterei paura, ma condividerei con lui le mie preoccupazioni educative; non gli imporrei regole, ma lo coinvolgerei nel cammino di genitori e figli sulla via della responsabilità.               

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