Conferenza di Fabio Ghioni, esperto di sicurezza informatica, all’Ucsi Lazio

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ROMA 23-04-2010 CEI TESTIMONI DIGITALI - MEDIA TV INTERNET DIGITALE PH: CRISTIAN GENNARI

Internet ci ha rivoluzionato la vita e ha cambiato il mondo, sotto diversi aspetti. Molti di noi non possono più fare a meno di usarlo, nel lavoro o nel tempo libero, anche comunicando nei social network. Eppure c’è un «lato oscuro della rete» che non tutti sono in grado di vedere. Ne ha parlato Fabio Ghioni, primo hacker d’Italia e tra i massimi esperti di sicurezza informatica al mondo, a un incontro organizzato a Roma dall’Ucsi Lazio (Unione cattolica stampa italiana).

Quando postiamo qualcosa sui social network c’è sempre il timore di dire troppo di sé perché qualcuno può usare o controllare i nostri dati. È un timore fondato?
Sì e no. Dipende da cosa uno ha da dire. Non basta non dire nulla di sé su Facebook. Attraverso il sistema dei “mi piace” o dei post rivelo di me più di quanto vorrei dire, perché rivelo i miei desideri inconsci. Se un buon profiler legge una settimana di post su Facebook, conosce più cose dell’altra persona di quanto non conosca se stesso. È un sistema di schedatura di massa. Se uno mette tutti i dati insieme non si ha più bisogno nemmeno di un investigatore privato.

Chi controlla queste informazioni?
Facebook e Google fanno parte delle infrastrutture critiche del sistema statunitense. È ovvio, senza bisogno di saperlo, che sono infrastrutture critiche per il loro sistema di intelligence. Se uno, per esempio, vuole informazioni su una persona in Grecia, la prima cosa che fa è la ricerca su un aggregatore di social network, e ha a disposizione tutte le informazioni che la persona stessa ha fornito. C’è gente che mette foto dei figli, di quando va in vacanza, oppure comunica con la moglie o con l’amante attraverso i post sulla bacheca di Facebook. Questi dati possono essere usati bene o male. Ad esempio, per un ladro di appartamento è sufficiente farsi “amici” un po’ di famiglie e poi vedere quando vanno in vacanza. Anche l’80% del lavoro degli stalker è fatto guardando la rete. Non c’è più bisogno di appostamenti fuori casa.

Molti giovani espongono tutta la loro vita privata sui social network. Con quali rischi?
I giovani non sono assolutamente educati a tenere conto delle conseguenze delle loro azioni in rete. Io vengo dal periodo in cui non esistevano né internet, né telefonini, e vivevo tranquillamente, forse anche meglio. Quando ho visto che saremmo diventati una società molto dipendente dalla tecnologia, inizialmente ho gioito. Ho detto: «Io sono 100, con la tecnologia divento 200». Invece i giovani nativi digitali sono 100 con la tecnologia. Senza, diventano 40. Questa è una cosa bruttissima e veramente triste.

Siamo ancora in tempo per educare le nuove generazioni – e non solo – a un uso consapevole di internet?
C’è sempre qualcuno che riesce a resistere a questa tendenza e funge da faro per tutti gli altri. Però la massa delle persone non riesce più a tornare indietro. Ci vorrebbe uno choc, come la scomparsa dell’energia elettrica dal pianeta per un anno, per adattarsi a un sistema senza tutto questo. Bisogna educare a un uso cosciente non solo di internet, ma di se stessi. Perché l’idiozia manifestata sulla rete è l’idiozia della persona stessa. Se un genitore mette on line le foto dei figli nudi, sapendo che c’è chi va a cercare queste cose, è un idiota. Poi non ci si può lamentare.

Eppure c’è chi non ha la minima percezione delle conseguenze…
Perché si evita volutamente di menzionare questi rischi. Si sottolineano solo i lati positivi di intrattenimento, di riempimento del vuoto delle vite. I rischi esistono, ma costituiscono quasi una sorta di subconscio psicologico tenuto da parte. Per alcuni c’è uno stato di totale dipendenza da un’informazione totalmente virtuale.

C’è un pericolo reale che i nostri dati cadano nelle mani di un esaltato potente o una potenza che viola i diritti umani, che potrebbe agire nuocendo all’umanità?
Certo. Tutto è predisposto per questo. Basta che arrivi il pazzo della situazione che fa il colpaccio e ha già tutto lì pronto per controllare. Io non sono un complottista, ma non si può far finta di non vedere che una bomba potrebbe esplodere nel nostro giardino. Bisogna dire alla gente di aprire gli occhi e guardare il mondo per quello che è e agire di conseguenza. Altrimenti quello che capita è meritato. Il problema non è la tecnologia, ma il nostro cervello. È come uno specchio che riflette quello che noi siamo. Noi siamo dei selvaggi che hanno in mano qualcosa molto più grande e lo stanno usando come sono capaci, senza pensare alle conseguenze.

Per concludere con una nota positiva: quali validi esempi di un uso sano della rete?
Una cosa che avviene on line deve essere accompagnata da azioni concrete. Altrimenti non serve a nulla. Creare movimenti di opinioni sincronizzati dalla rete, dove ognuno agisce all’unisono per raggiungere un obiettivo, potrebbe essere un potente evidenziatore del vero potere di noi cittadini. Però siamo divisi. Ognuno ha la sua piccola, insignificante opinione, pensa al suo orticello. Invece in una democrazia dobbiamo agire come gruppo, come sistema. Un’azione all’unisono per cambiare una situazione. Se tutti protestano pacificamente ma sincronizzano la loro azione in rete per cambiare una legge, o una situazione, il sistema cambia, perché siamo noi a dare il consenso. Quindi il potere è enorme, ma è nostro solo come gruppo.

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