Il premio viene assegnato ogni anno alla Mostra di Venezia dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e dalla «Rivista del Cinematografo», in accordo con il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e il Pontificio Consiglio della Cultura, al regista che abbia dato una testimonianza significativa del difficile percorso di ricerca del significato spirituale dell’esistenza

Mohsen Makhmalbaf

Il Premio Robert Bresson 2014 è stato assegnato questa mattina al regista iraniano Mohsen Makhmalbaf, in una cerimonia presso lo Spazio della Fondazione Ente dello Spettacolo alla presenza di S.E. Mons. Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, del Presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta e del Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo don Davide Milani. La cerimonia è stata condotta da Lorena Bianchetti, conduttrice di A Sua Immagine – Rai Uno.

 Dopo aver ricevuto il premio della Fondazione Ente dello Spettacolo, il regista Mohsen Makhmalbaf ha dichiarato: “A  17 anni, nel mio Paese in Iran, avevo pensato di uccidere il dittatore. Non l’ho fatto per fortuna perché ho scelto il cinema e ho capito che poteva essere un’arma più preziosa. Seguire le orme di Gandhi e del regista Robert Bresson poteva produrre risultati molto più profondi. Oggi osserviamo la Siria e sappiamo che lì manca il dialogo e vediamo la terribile fotografia del bambino morto sulla spiaggia. Se la Siria avesse avuto un cinema forte non avrebbe fatto ricorso alle armi. Sono fiducioso tuttavia che una nuova illuminazione farà cambiare la Siria”.

“Da molti anni vivo fuori dal mio Paese – ha seguitato il regista iraniano – ma rigetto l’atteggiamento della paura. Ho fatto cinque anni di prigione, sono stato torturato più volte, vittima di attentati con bombe e veleno, ma non mi lascio frenare dalla paura. Mi sforzo di essere coraggioso e fiducioso, perché ogni dittatura usa come arma la paura e l’assenza di speranza”.

Ancora Mohsen Makhmalbaf: “Sono nato in Iran ma mi sento in tutto un cittadino del mondo. Ho fatto film in 10 Paesi ed è per me la conferma che il cinema è un linguaggio universale. Ricevo con onore questo Premio Robert Bresson dalla Fondazione Ente dello Spettacolo perché il regista francese rappresenta l’esempio di un profeta del  cinema, mai legato a scuole o a correnti ma solo a stesso e alla propria apertura verso gli altri”.

Il regista iraniano ha concluso il suo incontro con un sentito appello a tutti, in particolare ai giornalisti. “Voglio infine lanciare un appello, anche attraverso i media. Dedico il premio a Oleg Sentsov, regista ucraino condannato a 20 anni di prigione dalla corte russa. Dobbiamo fare di tutto per favorire la sua libertà. Con speranza!”.           

Mons. Claudio Maria Celli ha sottolineato: “Non c’è lingua, non c’è cultura, non c’è credo religioso che possa diventare ostacolo alla comprensione nel momento in cui ci mettiamo davanti allo schermo. Il cinema si fa per noi strumento di conoscenza, dialogo tra i popoli, specchio della società, riflesso dell’uomo, delle sue ansie, delle sue speranze, della sua anima”.

“In questo frangente storico” – ha dichiarato don Davide Milani, Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo – “in cui abbiamo l’illusione di conoscere tutto, spesso dei popoli e delle religioni ci limitiamo a degli stereotipi. Premiando il maestro Makhmalbaf riconosciamo come la sua cinematografia offra un racconto attento a cogliere i processi culturali a partire dalla vita concreta delle persone, in maniera problematica ma sempre feconda. Un dialogo tra religioni e popoli non può che partire da una simile conoscenza”.

Dopo essere stato uno dei registi di punta del cinema iraniano degli anni Ottanta, già dagli anni Novanta incomincia un percorso di distacco graduale dalla politica del governo iraniano e affronta un’ulteriore tappa nella costruzione di una nuova identità cinematografica. Autore da sempre sensibile ai conflitti politici e alle questioni socio-culturali del Medioriente, Mohsen Makhmalbaf rifugge dalla facile condanna verso i tanti despoti che opprimono la regione nonostante, esule con la moglie dall’Iran da oltre dieci anni, abbia una lunga storia familiare dolorosa. Il suo cinema, scaturito dal contatto diretto con le prime esperienze artistiche sviluppatesi dopo la rivoluzione islamica del 1979, nasce dallo sforzo di coniugare temi religiosi e sociali in forma di apologhi e raggiunge con piena consapevolezza una raffigurazione esteticamente alta e simbolica della realtà.

Il Premio Robert Bresson – un’opera intitolata HOPE e realizzata dallo scultore e orafo Andrea Cagnetti, in arte Akelo –, istituito nel 1999, viene assegnato ogni anno alla Mostra di Venezia dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e dalla «Rivista del Cinematografo», in accordo con il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e il Pontificio Consiglio della Cultura, al regista che abbia dato una testimonianza significativa del difficile percorso di ricerca del significato spirituale dell’esistenza. Nelle precedenti edizioni è stato attribuito a: Giuseppe Tornatore, Manoel de Oliveira, Theo Angelopoulos, Krzysztof Zanussi, Wim Wenders, Jerzy Stuhr, Zhang Yuan, Daniel Burman, Walter Salles, Aleksandr Sokurov, Mahamat Saleh-Haroun, Jean-Pierre e Luc Dardenne, Ken Loach, Amos Gitai e Carlo Verdone.

IL REGISTA
Mohsen Makhmalbaf è uno dei principali esponenti del Nuovo cinema iraniano. Regista, romanziere, sceneggiatore, montatore, produttore e attivista per la tutela dei diritti umani. Nato a Teheran (Iran) nel 1957. Dopo una decisiva parentesi politica – si unisce adolescente alla milizia rivoluzionaria – si impegna nel campo artistico. Nei primi anni Ottanta, oltre al romanzo Il giardino di cristallo, inizia a scrivere racconti e testi teatrali ed entra nel “Centro per la diffusione del pensiero e dell’arte islamica”.

Nel 1982 debutta dietro la macchina da presa con Tobeh Nasuh e nel 1985, con il suo quarto film Boycott arriva la notorietà. Da allora ha diretto più di venti opere, tra cui: L’ambulante (1986, presentato in diversi festival cinematografici internazionali), Il ciclista (1987), Salam Cinema (1994), Pane e fiore (1995, menzione speciale al Festival di Locarno), Il silenzio (1997, Medaglia d’oro della Presidenza del Senato, Premio CinemAvvenire e menzione speciale del Premio Sergio Trasatti alla 55. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia), Viaggio a Kandahar(2001, Premio della Giuria Ecumenica al Festival di Cannes), l’acclamato documentario The Gardner (2012) e The President (2014). Mohsen Makhmalbaf ha all’attivo oltre 27 pubblicazioni, 20 lungometraggi, 4 documentari e 5 cortometraggi realizzati in oltre dieci Paesi: Iran, Afghanistan, Turchia, Pakistan, Tagikistan, India, Corea del Sud, Israele, Georgia e Inghilterra.

Tra i numerosi riconoscimenti, si ricordano anche il Dottorato ad honorem in Letteratura presso la St Andrews University in Scozia nel 2010 e quello in Cinema presso l’Università di Parigi Nanterre, sempre nel 2010. Nel 1996 ha fondato la casa di produzione Makhmalbaf Film House, che oltre ai lavori dello stesso Mohsen finanzia le opere di altri autori iraniani, tra cui i tre figli – Hana, Maysam e Samira – e la moglie Marziyeh Meshkiny.

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