Presentato il Rapporto 2014 sulla sicurezza e insicurezza sociale in Italia e in Europa: mentre per gli italiani la prima emergenza resta la disoccupazione, l’instabilità governativa ha acquistato il centro della scena mediatica, a scapito di quella finanziaria

di Claudio URBANO

Fondazione Unipolis

Ammette di essersi ispirato al film di Paolo Sorrentino, il sociologo Ilvo Diamanti, per l’edizione 2014 del Rapporto sulla sicurezza e insicurezza sociale in Italia e in Europa, che fotografa «la grande incertezza» del Paese. Ma il riferimento è voluto. Come il protagonista de La grande bellezza è abituato alle serate ormai vuote della mondanità romana, così l’Italia di oggi si è abituata all’insicurezza economica e sociale, senza sapere però chi sia il responsabile delle proprie paure, e dove indirizzare i propri sforzi.

Lo studio (condotto dall’istituto di ricerca Demos&Pi e dall’Osservatorio sui Media di Pavia per la fondazione Unipolis, presentato lunedì mattina a Palazzo Marino a Milano) indaga annualmente la relazione tra percezione sociale e rappresentazione mediatica della sicurezza, e mostra come negli ultimi mesi anche la crisi economica abbia perso centralità nella narrazione dei media a favore della politica, che ha acquistato il centro della scena. A gennaio il 68% degli italiani intervistati dice di sentirsi frequentemente preoccupato per l’instabilità politica, e uno su tre ritiene prioritarie le lotte all’inefficienza e alla corruzione.

Per gli italiani, comunque, la prima emergenza resta la disoccupazione: come un anno fa, anche oggi una famiglia su quattro  ha subito la perdita o riduzione di lavoro di un suo componente negli ultimi 12 mesi, e quattro italiani su dieci hanno cercato lavoro senza trovarlo. Per la prima volta dall’inizio della crisi, la maggior parte delle famiglie italiane si considera di classe sociale bassa o medio bassa (51,5%) e non di classe media (il 41,1% del totale, erano il 59,5% del 2006). Così il futuro diventa sempre più impalpabile, e ormai i due terzi delle famiglie italiane sono convinte che i giovani possano trovare prospettive solo all’estero.

Eppure, lo spazio che i media dedicano alla crisi economica è in calo: a fine 2013 solo il 10% delle notizie è stato di carattere economico, mentre queste erano il 25% a fine 2012 e addirittura 4 su 10 a fine 2011. Le tv nazionali continuano inoltre a privilegiare il racconto della criminalità (il 49% delle notizie), ma il trend è comunque in calo rispetto agli anni scorsi, quando la cronaca nera occupava anche il 60% dei tg. Così, si sottolinea nel rapporto, la grande paura è tale perché non ha più né un volto né un nome: non è più l’immigrato o il criminale comune a fare paura, ma anche la crisi economica non viene più “messa in scena” dai media come nel 2012, basti pensare all’eco assolutamente inferiore che hanno i suicidi per motivi economici rispetto solo a un anno fa.

Perché la politica occupa così tanto spazio sui media?  Tra gli effetti della crisi Diamanti denuncia «l’appiattimento sul presente per cui, rinunciando a una visione di lungo periodo, alla politica si chiede un’efficacia immediata, e la sua principale chiave di lettura diventa la velocità».

Un discorso a parte lo merita l’immigrazione, che viene ora trattato con maggiore autocritica. A fine 2013 è un italiano su tre a considerare gli immigrati una minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico e il 56% ritiene che gli immigrati «favoriscano la nostra apertura», mentre tra il 2007 e il 2008, quando sui media era forte l’identificazione immigrato-criminale, il fenomeno preoccupava quasi un italiano su due.

Discorso inverso per la Germania. Sulla Ard, principale rete tv tedesca, a fine 2013 sono state proprio le notizie su immigrati e globalizzazione a fare la parte del leone: un terzo del totale, superando di poco anche le notizie economiche. Netto il giudizio di Diamanti: «la paura degli immigrati è un privilegio dei paesi ricchi: puoi averla quando non ne hai altre». Non  proprio la nostra situazione attuale.

Intervenendo all’incontro, don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità, ha sottolineato che «la grande incertezza è anche una grande incertezza culturale e una grande solitudine», di fronte alle quali sono più che mai necessari «processi formativi e di costruzione di legami». Anche Colmegna ha rilevato «la dittatura dell’attimo» che lascia spazio solamente alle (cattive) notizie e non alla riflessione, mentre «le buone notizie sono assorbite nella dimensione dell’eroismo».

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